BENVENUTO



B E N V E N U T O !! Lo Spirito Santo illumini la tua mente, fortifichi la tua fede.


sabato 28 febbraio 2015

RABBI' E' BELLO PER NOI ESSERE QUI...




Pietro non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati

Seconda domenica di quaresima: 1 marzo 2010



Dal Vangelo secondo Marco 9,2-10

"Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche.

E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù.

Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia».

Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati.

Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!».

E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.

Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti.

Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti".


Parola del Signore!

Enzo: Perché la liturgia ci propone questo brano della trasfigurazione di Gesù in questo periodo di quaresima?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo metterci nelle condizioni degli apostoli che seguivano Gesù, in modo particolare Pietro, Giovanni e Giacomo.
E’ chiaro che i tre discepoli non conoscevano ancora chi era veramente Gesù, erano discepoli all’ascolto e presenti a tutto quello che Gesù diceva e faceva, aspettando il giorno di gloria e di potenza in cui Gesù si sarebbe dimostrato il Messia liberatore di Israele, secondo loro.

Anche noi in questo periodo di quaresima andiamo dietro Gesù come discepoli: ascoltiamo la sua parola, osserviamo le sue opere: forse il nostro comportamento non è completamente conforme al mandato di Gesù e al volere del Padre. Non ci riconosciamo in realtà credenti a tutto campo, percepiamo la bellezza della Parola, facciamo fatica a testimoniarla. Non è forse vero che spesso costatiamo che ci è difficile abbracciare la croce e viviamo nell’incertezza  del nostro impegno, spaventati dalla fatica nella scelta totale della persona di Gesù?

Il brano che ci accingiamo a commentare diventa un dono, una speranza nel cammino di ogni discepolo. E’ una risposta alla domanda centrale del vangelo di Marco: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Su un alto monte, il Tabor, viene rivelato il volto misterioso del Messia. E’ un’epifania gloriosa del Cristo, dell’unto del Signore, del messia nascosto, che non vuole che si parli di questo evento e che presto sperimenterà l’umiliazione del servo sofferente.

Gesù fa una pausa nel suo peregrinare, divedere tanta gente, di operare prodigi. Prima di questa pausa aveva parlato ai suoi discepoli della sua prossima morte. I suoi non capivano il perché della morte, nemmeno le condizioni che poneva per seguirlo, come non capiranno dopo questo episodio cosa volesse dire Gesù con le parole “risorto dai morti”. Tra di loro si era creata una situazione di incertezza, forse di turbamento e perplessità sulla identità messianica di Gesù.

Dunque Gesù si permette una pausa, conduce con sé verso “un alto monte”,  Pietro, Giacomo e Giovanni. Sul monte avviene qualcosa di straordinario,Gesù fu trasfigurato davanti a loro in una bellezza e candore mai visti prima; E' come se Gesù venisse per un istante "spogliato" della sua umanità. Gesù appare nello splendore e nella Bellezza del suo essere Dio.

Assieme a Gesù apparvero Elia e Mosè che conversavano con Gesù: il vecchio e il nuovo, tre personaggi chiamati per una missione speciale che riguarda l’uomo e il suo destino. Sappiamo che Gesù venne a completare ciò che era stato annunciato prima di Lui. Mosè ed Elia furono personaggi importanti, cardini dell’Antico Testamento. Mosè il liberatore dalla schiavitù dell’Egitto. Elia il profeta del futuro Messia.

Era bello lassù e Pietro non sapendo cosa dire preso dallo stupore chiede  di fare tre tende e rimanere in quel luogo.
Una nube li avvolge e una voce, la voce del Padre annuncia la figliolanza divina di Gesù e invita all’ascolto delle sue parole. : «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!».

“Ascoltatelo: ”: queste parole costituiscono il centro del brano di questa domenica.. L’ascolto è ciò che definisce il discepolo, colui che fa tutto quello che il Maestro insegna- “Ascoltatelo!” è una parola che è rivelazione di Dio e definisce chi siamo noi. Ascoltare vuol dire avere fede cieca in Colui che ci parla.

I tre testimoni conserveranno nel loro cuore il ricordo dell’esperienza  del Tabor, e dopo la risurrezione di Gesù ne parleranno come Gesù aveva detto: “ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti”.

Così Pietro scriverà ai cristiani dell’Asia Minore: 
«Infatti, vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del Signore nostro Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole artificiosamente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua grandezza. Egli infatti ricevette onore e gloria da Dio Padre, quando giunse a lui questa voce dalla maestosa gloria: “Questi è il Figlio mio, l’amato, nel quale ho posto il mio compiacimento”. Questa voce noi l’abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte» (2Pt 1,16-18).

In Pietro possiamo rispecchiarci: il suo entusiasmo forse non somiglia anche al nostro in alcune occasioni particolari della nostra vita nel rapporto di fede con Dio? Non abbiamo visto Gesù trasfigurato come Pietro con i nostri occhi ma l’abbiamo sentito vivamente dentro di noi, gustato nella serenità della nostra preghiera, nella gioia di momenti sacramentali, e anche in incontri con i fratelli sperimentando com’è bello stare insieme?

Ma come Pietro ci è capitato anche di perdere quell’entusiasmo, di non capire più , di non seguire più quella strada che ci sembrava buona, di non riconoscere Gesù o addirittura dimenticarlo…siamo stati incostanti, sfiduciati dinanzi ai problemi della sofferenza e del dolore o attratti dalla bellezza e lusinghe della vita del mondo…

Ecco il richiamo alla Trasfigurazione in questa seconda domenica di quaresima: camminare verso la Pasqua con entusiasmo, con gioia, da veri discepoli coscienti della propria fede in Gesù, sofferente, risorto.

Ancora una volta l’evangelista Marco ci mostra chi è Gesù: il figlio diletto del Padre,  in cui tutti noi dobbiamo credere, ascoltare, annunciarlo con la nostra testimonianza.


Mariella: Domenica prossima, seconda di quaresima, continuiamo il nostro cammino verso il mistero pasquale, nel mistero di un Dio che ha tanto amato l’uomo da donare perfino suo Figlio per la salvezza del mondo.  Ce lo ricorda anche  san Paolo nel piccolo brano tratto dalla lettera ai Romani che sarà letto come seconda lettura: “Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a Lui?” .

Ed in questo immenso Amore c’inoltriamo oggi leggendo il brano della Trasfigurazione, che è anticipazione della Gloria del Risorto. Questo brano è al centro del Vangelo di Marco: siamo nel cuore della rivelazione evangelica e nel punto più delicato del cammino che i discepoli di tutti i tempi sono chiamati a compiere. Un cammino che ci porta a comprendere come la vita non sia solo gioia e luce, ma passi attraverso il dolore la morte ed il buio di una tomba. 

Possiamo tranquillamente affermare che questa esperienza teofanica, ossia questa manifestazione del Signore in vesti splendenti e candide, per nulla sovrapponibili a visioni terrene, questo assaggio di Paradiso, ci aiuta a sopportare meglio la prova della crocifissione ed arrivare alla gioia della Resurrezione.

La descrizione di Marco è come sempre essenziale ed incisiva, l’immagine è suggestiva e coinvolgente, mira a farci rivivere in prima persona l’esperienza vissuta dai tre discepoli: Pietro, Giacomo, Giovanni ed è di una ricchezza indicibile. Soffermiamoci un attimo sull’espressione:
 "fu trasfigurato": Gesù è oggetto di un'azione trasformante da parte di Dio, una trasformazione di luce, di splendore sovrumano.

"E apparve loro Elia con Mosè che conversavano con Gesù": ciò che interessa non è quel che fra di loro viene detto, ma la visione di Elia e Mosè che sono già nella gloria di Dio, che conversano con Gesù. Pietro non può trattenere la gioia che gli esce dal cuore, ora finalmente mette a tacere i suoi dubbi e le sue preoccupazioni, infatti sei giorni prima si era ribellato al sapere quanto il Maestro avrebbe dovuto soffrire ed era stato severamente rimproverato dallo stesso Cristo con le parole: : "Vai dietro a me, Satana. Tu mi sei di scandalo".

"E' bello per noi stare qui: facciamo tre tende.". Pietro intende coinvolgere anche gli altri. Ha visto la Bellezza: vuole fermarla,come se potesse essere catturata, trattenuta solo per loro: non ha capito ancora che tutto è dono. Ha paura che Gesù fallisca, che venga meno. Pietro vuole fare qualcosa per Gesù, in realtà è perché lui ha paura. Non ha ancora capito che non sarebbe stata la robusta tenda costruita da mano d’uomo a trattenere la gioia degli apostoli tutta per loro, quanto piuttosto una sfumata nube che li avvolse con la sua ombra, dalla quale giunse a loro una voce sicura, quella del Padre: “ Questi è il Figlio mio, l’amato, ascoltatelo!” a liberarli definitivamente dalla paura e ricondurli alla gioia.

 Marco conclude: "Guardando attorno, non videro più nessuno, se non Gesù, solo, con loro". E Gesù, che essi sono chiamati ad ascoltare, egli ordina loro il silenzio prima che il Figlio dell'uomo fosse risorto dai morti. Ed essi continuavano a chiedersi che cosa volesse dire  “risorgere dai morti”
.
Quaresima significa dunque salire “sul monte Tabor”, guardare in alto per tendere alla grandezza del nostro Dio, per ascoltare la sua Parola d’Amore, per contemplare le cose del cielo, per godere il sapore di eternità a cui non siamo abituati, assuefarci alla pace e gioia di Dio.  Ma quaresima significa anche e soprattutto salire “il Golgota, l’altro monte” quello della sofferenza e della croce, quello dell’abbandono totale a Dio, certi che non verrà mai meno il suo amore di Padre. E’ questa salita che ci permette di giungere alla pienezza della vita.


Solo chi s’incammina con Cristo 

sulla via della croce, potrà giungere 

con Lui alla gloria luminosa della 

resurrezione.





venerdì 20 febbraio 2015

...nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana...

Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino

Prima domenica di quaresima: 22 febbraio 2015


 
Dal vangelo secondo Marco 1,12-15

E subito lo Spirito lo sospinse nel deserto

e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il
vangelo di Dio,

e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino;
convertitevi e credete nel Vangelo».


Parola del Signore!

Mariella: Siamo entrati a pieno titolo nel periodo quaresimale, così detto tempo forte, che ci porta a camminare per quaranta giorni verso il mistero della resurrezione di Cristo

L'incontro con Cristo risorto, senso ultimo della Quaresima, deve compiersi mediante una utile preparazione spirituale, che ci aiuta ad approfondire la conoscenza di noi stessi, dei nostri limiti, delle nostre povertà, delle nostre aridità e dei nostri peccati, per poter giungere alla santa Pasqua rinnovati interiormente.


Il racconto delle tentazioni di Gesù, descritto dall'apostolo Marco, è la pagina di Vangelo che ci viene proposto in questa prima domenica di quaresima

Possiamo subito dire che Marco stabilisce uno stretto rapporto tra il racconto della tentazione nel quale lo Spirito sospinge Gesù nel deserto e quello del battesimo, immediatamente precedente, dove lo Spirito sotto forma di una colomba, discende verso di Lui e si ode una voce che annuncia: : 'Tu sei il mio figlio amato; in te mi sono compiaciuto".


Lo Spirito Santo opera in entrambi gli eventi come soggetto principale ed è sempre preludio di una creazione nuova.

Per iniziare concretamente il nostro cammino quaresimale è necessario dunque lasciarsi sospingere verso il deserto, ossia verso il luogo del silenzio e del raccoglimento, dove Dio si manifesta attraverso lo Spirito anche alla nostra anima e la guida verso una conversione vera, rendendoci creature nuove, degne del suo Amore.


Questo aprirci a Dio ed alla sua volontà ci rende consapevoli del nostro senso di appartenenza a Lui, non siamo soli, non siamo venuti dal nulla, né siamo diretti verso l’ignoto, ma siamo figli amati, chiamati per nome, custoditi nel palmo della sua mano e destinati ad un abbraccio eterno.

Il fondamento di questa certezza è offerta da Cristo, il quale subendo lui stesso la tentazione, mostra all'uomo che non deve temere alcun male, perché ad ogni croce sparsa nel mondo è data la speranza della resurrezione.

Riporto un piccolo brano estrapolato da un’omelia e che rende molto chiaro il concetto che desidero condividere con voi: “Gesù è il Figlio amato dal Padre, mandato a condividere tutto ciò che è umano, la fragilità, la debolezza, il dolore, la solitudine, la morte. Gesù è il Figlio al quale il Padre dona tutto il suo Amore e che porta l'Amore del Padre nel profondo della carne dell'uomo…..Ed è lo Spirito l'Amore che discende su Gesù e che con Lui discende nella fragilità dell'uomo. Così il deserto è il luogo della debolezza, della solitudine, in cui manca tutto, ma è il luogo in cui si fa presente l'Amore del Padre”.


Sorge, allora, per ognuno di noi, l'urgenza di una conversione, che non si riferisce al tempo che passa inesorabile; ma, alle occasioni di conversione che a volte ci lasciamo sfuggire di mano. Le parole del Maestro: "il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino"  stanno a ribadire che ogni attimo della nostra esistenza è quello giusto per invertire la rotta sbagliata del nostro vivere lontano dal Vangelo e comprendere che la salvezza giunge da Cristo, unico vero salvatore della nostra vita.


Il Vangelo di Marco, a differenza degli altri evangelisti, non riporta il conte­nuto delle tentazioni di Ge­sù, ma ci ricorda l'essen­ziale, ossia: essere tentato vuol dire dover scegliere.

La tentazione infatti è sempre una scel­ta tra due diverse strade, quella verso il bene che è vita e quella verso il male che è morte. Il deserto è sempre luogo della lotta, della paura, della scelta, ma Dio non ci abbandona se ci fidiamo di Lui ci resta sempre accanto, sostenendoci col dono del suo santo Spirito


Gesù, nei quaranta giorni di prova nel deserto, sceglie il bene più grande, quello che non avrà mai fine, sceglie il Regno di Dio e lo annuncia con la sua Parola di verità. Un bene che si oppone al male che Satana vuol spargere nel mondo, Gesù sceglie il bene e c’invita a seguirlo sulla via del bene, solo così potremo vincere il male, solo così il mondo sarà diverso, un mondo dove si potrà trovare la pienezza della vita.

Gesù è il Figlio che ha creduto nell’amore del Padre e continua a gridarlo al mondo, a noi oggi: “Il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al Vangelo”.



Enzo: “E subito lo Spirito lo sospinse nel deserto”,  subito dopo avere ricevuto il battesimo da Giovanni e vi rimane qua ranta giorni, un periodo considerevole, nel luogo deserto ritenuto la dimora degli spiriti, “stava con le bestie selvatiche”.



 Nel deserto Gesù subisce la prova: respinge la suggestione diabolica di un messianismo terreno potente e trionfante per conformarsi all’amore di servo di Dio  con azione umile e con il dono della vita. A differenza di Matteo e Luca, Marco non vuole offrire una catechesi sulle tentazioni, per questo non si ferma a considerare il suo svolgimento e il suo esito, ritiene più importante sottolineare il legame tra battesimo e tentazione: lo Spirito dato al battesimo non separa Gesù dalla storia e dalle sue contraddizioni, al contrario lo colloca all’interno della lotta che si svolge nella storia.



L’evangelista Marco non indica la natura della tentazione, sembra che lo accompagni lungo tutti i quaranta giorni, il buio dell’anima, diremmo oggi. E’ stato un confronto tra due forti, Satana e Gesù. Tentazione che non si limiterà soltanto a quel periodo del deserto ma accompagnerà Gesù fino a compimento della sua missione. Alla fine vincerà il più forte, Gesù: satana  “il forte” verrà legato dal “più forte”(Mc 3,27).



Nel battesimo Gesù viene proclamato dal Padre suo “Figlio prediletto” ma solidale con i peccatori, nel deserto sperimenta “subito” la condizione dell’uomo peccatore, in tutto simile a noi: vive tra la tentazione di Satana e la protezione divina: “gli angeli lo servivano”, sono presenti durante tutto il periodo. Per Luca invece, gli angeli compaiono alla fine, quando satana era andato via.



Come si vede c’è una differenza tra Marco e Luca: direi che è più bella e interessante per noi la versione di Marco. Gli angeli sono la prova che Dio non lascia mai solo l’uomo nelle sue tribolazioni, non lo abbandona nelle sue tentazioni. Quel servire degli angeli vuol dire servire a tavola, dare da mangiare, alimentare.



Altre volte e spesso Gesù si ritirerà in zone deserte per pregare, deserto zona di silenzio e di raccoglimento, luogo di dialogo col Padre. Nel momento più triste della sua vita è ancora la preghiera che lo preserva dalla tentazione: “ Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà”.


Il mistero di Gesù, Figlio di Dio è lo stesso mistero del Battezzato, di ognuno di noi: la vita nella quale il battesimo ci introduce è fatta di lotta sotto il segno della vittoria, della tranquillità, della pace.



Sant’Agostino in un suo commento al brano delle tentazioni di Gesù nel deserto:
 Leggevamo ora nell’evangelo che il Signore Gesù era tentato dal diavolo nel deserto. Precisamente Cristo fu tentato dal diavolo, ma in Cristo eri tentato anche tu.

Perché Cristo prese da te la sua carne, ma da sé la tua salvezza,

da te la morte, da sé la tua vita,

da te l'umiliazione, da sé la tua gloria,

dunque prese da te la sua tentazione, da sé la tua vittoria.

Se siamo stati tentati in lui, sarà proprio in lui che vinceremo il diavolo. Tu fermi la tua attenzione al fatto che Cristo fu tentato; perché non consideri che egli ha anche vinto?

Fosti tu ad essere tentato in lui, ma riconosci anche che in lui tu sei vincitore. Egli avrebbe potuto tener lontano da sé il diavolo; ma, se non si fosse lasciato tentare, non ti avrebbe insegnato a vincere, quando sei tentato”. 

La Quaresima ci fortifichi e  prepari a partecipare alla risurrezione di Gesù nella nuova Pasqua, nella certezza  che Dio sarà sempre con noi: con Lui saremo i PIU’ FORTI. .




domenica 15 febbraio 2015

Papa Francesco: commento al vangelo di domenica 15 febbraio 2015 :Mc 1,40-45 Gesù guarisce un lebbroso


Non ho resistito a pubblicare questa omelia di Papa Francesco, convinto di fare piacere a tutti coloro che non hanno avuto la possibilità di ascoltarla o leggerla. PAPA FRANCESCO STUPISCE SEMPRE DI PIU' , ci fa riflettere: a noi seguirlo. Buona lettura

Messa del Papa con i nuovi cardinali - Testo integrale dell'omelia commento al vangelo di domenica 15 febbraio 2015 (Mc 1,40-45)


2015-02-15 Radio Vaticana
“Signore, se vuoi, tu puoi purificarmi”. Gesù, mosso a compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: “Lo voglio, sii purificato!” (cfr Mc 1,40-41). La compassione di Gesù! Quel “patire con” che lo avvicinava ad ogni persona sofferente. Gesù non si risparmia, anzi si lascia coinvolgere nel dolore e nel bisogno della gente, semplicemente perché Egli sa e vuole “patire con”, perché ha un cuore che non si vergogna di avere “compassione”.
«Non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti» (Mc 1,45). Questo significa che, oltre a guarire il lebbroso, Gesù ne ha preso su di sé anche l’emarginazione che la legge di Mosè imponeva (cfr Lv 13,1-2.45-46). Gesù non ha paura del rischio di assumere la sofferenza dell’altro, ma ne paga fino in fondo il prezzo (cfr Is 53,4).

La compassione porta Gesù ad agire in concreto: a reintegrare l’emarginato. E questi sono i tre concetti-chiave che la Chiesa ci propone oggi nella liturgia della Parola: la compassione di Gesù di fronte all’emarginazione e la sua volontà di integrazione.

Emarginazione: Mosè, trattando giuridicamente la questione dei lebbrosi, chiede che vengano allontanati ed emarginati dalla comunità, finché perduri il loro male, e li dichiara “impuri” (cfr Lv 13,1-2.45-46).
Immaginate quanta sofferenza e quanta vergogna doveva provare un lebbroso: fisicamente, socialmente, psicologicamente e spiritualmente! Egli non è solo vittima della malattia, ma sente di esserne anche il colpevole, punito per i suoi peccati! È un morto vivente, “come uno a cui suo padre ha sputato in faccia” (cfr Nm 12,14).
Inoltre, il lebbroso incute paura, disdegno, disgusto e per questo viene abbandonato dai propri familiari, evitato dalle altre persone, emarginato dalla società, anzi la società stessa lo espelle e lo costringe a vivere in luoghi distanti dai sani, lo esclude. E ciò al punto che se un individuo sano si fosse avvicinato a un lebbroso sarebbe stato severamente punito e spesso trattato, a sua volta, da lebbroso.
E’ vero, la finalità di tale normativa era quella di salvare i sani, proteggere i giusti e, per salvaguardarli da ogni rischio, emarginare “il pericolo” trattando senza pietà il contagiato. Così, infatti, esclamò il sommo sacerdote Caifa: «È meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera» (Gv 11, 50).

Integrazione: Gesù rivoluziona e scuote con forza quella mentalità chiusa nella paura e autolimitata dai pregiudizi. Egli, tuttavia, non abolisce la Legge di Mosè ma la porta a compimento (cfr Mt 5,17), dichiarando, ad esempio, l’inefficacia controproducente della legge del taglione; dichiarando che Dio non gradisce l’osservanza del Sabato che disprezza l’uomo e lo condanna; o quando, di fronte alla donna peccatrice, non la condanna, anzi la salva dallo zelo cieco di coloro che erano già pronti a lapidarla senza pietà, ritenendo di applicare la Legge di Mosè. Gesù rivoluziona anche le coscienze nel Discorso della montagna (cfr Mt 5), aprendo nuovi orizzonti per l’umanità e rivelando pienamente la logica di Dio. La logica dell’amore che non si basa sulla paura ma sulla libertà, sulla carità, sullo zelo sano e sul desiderio salvifico di Dio: «Dio, nostro salvatore, … vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità» (1 Tm 2,3-4). «Misericordia io voglio e non sacrifici» (Mt 12,7; Os 6,6).

Gesù, nuovo Mosè, ha voluto guarire il lebbroso, l’ha voluto toccare, l’ha voluto reintegrare nella comunità, senza “autolimitarsi” nei pregiudizi; senza adeguarsi alla mentalità dominante della gente; senza preoccuparsi affatto del contagio. Gesù risponde alla supplica del lebbroso senza indugio e senza i soliti rimandi per studiare la situazione e tutte le eventuali conseguenze! Per Gesù ciò che conta, soprattutto, è raggiungere e salvare i lontani, curare le ferite dei malati, reintegrare tutti nella famiglia di Dio. E questo scandalizza qualcuno!

E Gesù non ha paura di questo tipo di scandalo! Egli non pensa alle persone chiuse che si scandalizzano addirittura per una guarigione, che si scandalizzano di fronte a qualsiasi apertura, a qualsiasi passo che non entri nei loro schemi mentali e spirituali, a qualsiasi carezza o tenerezza che non corrisponda alle loro abitudini di pensiero e alla loro purità ritualistica. Egli ha voluto integrare gli emarginati, salvare coloro che sono fuori dall’accampamento (cfr Gv 10).

Sono due logiche di pensiero e di fede: la paura di perdere i salvati e il desiderio di salvare i perduti. Anche oggi accade, a volte, di trovarci nell’incrocio di queste due logiche: quella dei dottori della legge, ossia emarginare il pericolo allontanando la persona contagiata, e la logica di Dio che, con la sua misericordia, abbraccia e accoglie reintegrando e trasfigurando il male in bene, la condanna in salvezza e l’esclusione in annuncio.
Queste due logiche percorrono tutta la storia della Chiesa: emarginare e reintegrare. San Paolo, attuando il comandamento del Signore di portare l’annuncio del Vangelo fino agli estremi confini della terra (cfr Mt 28,19), scandalizzò e incontrò forte resistenza e grande ostilità soprattutto da coloro che esigevano un’incondizionata osservanza della Legge mosaica anche da parte dei pagani convertiti. Anche san Pietro venne criticato duramente dalla comunità quando entrò nella casa del centurione pagano Cornelio (cfr At 10).

La strada della Chiesa, dal Concilio di Gerusalemme in poi, è sempre quella di Gesù: della misericordia e dell’integrazione. Questo non vuol dire sottovalutare i pericoli o fare entrare i lupi nel gregge, ma accogliere il figlio prodigo pentito; sanare con determinazione e coraggio le ferite del peccato; rimboccarsi le maniche e non rimanere a guardare passivamente la sofferenza del mondo. La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero; la strada della Chiesa è proprio quella di uscire dal proprio recinto per andare a cercare i lontani nelle “periferie” essenziali dell’esistenza; quella di adottare integralmente la logica di Dio; di seguire il Maestro che disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori » (Lc 5,31-32).

Guarendo il lebbroso, Gesù non reca alcun danno a chi è sano, anzi lo libera dalla paura; non gli apporta un pericolo ma gli dona un fratello; non disprezza la Legge ma apprezza l’uomo, per il quale Dio ha ispirato la Legge. Infatti, Gesù libera i sani dalla tentazione del “fratello maggiore” (cfr Lc 15,11-32) e dal peso dell’invidia e della mormorazione degli “operai che hanno sopportato il peso della giornata e il caldo” (cfr Mt 20,1-16).
Di conseguenza: la carità non può essere neutra, asettica, indifferente, tiepida o imparziale! La carità contagia, appassiona, rischia e coinvolge! Perché la carità vera è sempre immeritata, incondizionata e gratuita! (cfr 1 Cor 13). La carità è creativa nel trovare il linguaggio giusto per comunicare con tutti coloro che vengono ritenuti inguaribili e quindi intoccabili. Questo “trovare il linguaggio giusto” … Il contatto è il vero linguaggio comunicativo, lo stesso linguaggio affettivo che ha trasmesso al lebbroso la guarigione. 
 Quante guarigioni possiamo compiere e trasmettere imparando questo linguaggio del contatto! Era un lebbroso ed è diventato annunciatore dell’amore di Dio. Dice il Vangelo: «Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto» (Mc 1,45).

Cari nuovi Cardinali,
  questa è la logica di Gesù, questa è la strada della Chiesa: non solo accogliere e integrare, con coraggio evangelico, quelli che bussano alla nostra porta, ma uscire, andare a cercare, senza pregiudizi e senza paura, i lontani manifestando loro gratuitamente ciò che noi abbiamo gratuitamente ricevuto. «Chi dice di rimanere in [Cristo], deve anch’egli comportarsi come lui si è comportato» (1 Gv 2,6). La totale disponibilità nel servire gli altri è il nostro segno distintivo, è l’unico nostro titolo di onore!
E pensate bene, in questi giorni in cui avete ricevuto il titolo cardinalizio, invochiamo l’intercessione di Maria, Madre della Chiesa, che ha sofferto in prima persona l’emarginazione a causa delle calunnie (cfr Gv 8,41) e dell’esilio (cfr Mt 2,13-23), affinché ci ottenga di essere servi fedeli a Dio. Ci insegni Lei - che è la Madre - a non avere paura di accogliere con tenerezza gli emarginati; a non avere paura della tenerezza: ma quante volte abbiamo paura della tenerezza! Ci insegni a non avere paura della tenerezza e della compassione; ci rivesta di pazienza nell’accompagnarli nel loro cammino, senza cercare i risultati di un successo mondano; ci mostri Gesù e ci faccia camminare come Lui.

Cari fratelli nuovi Cardinali, guardando a Gesù e alla nostra Madre, vi esorto a servire la Chiesa in modo tale che i cristiani - edificati dalla nostra testimonianza - non siano tentati di stare con Gesù senza voler stare con gli emarginati, isolandosi in una casta che nulla ha di autenticamente ecclesiale. Vi esorto a servire Gesù crocifisso in ogni persona emarginata, per qualsiasi motivo; a vedere il Signore in ogni persona esclusa che ha fame, che ha sete, che è nuda; il Signore che è presente anche in coloro che hanno perso la fede, o che si sono allontanati dal vivere la propria fede o che si dichiarano atei; il Signore che è in carcere, che è ammalato, che non ha lavoro, che è perseguitato; il Signore che è nel lebbroso - nel corpo o nell’anima -, che è discriminato! Non scopriamo il Signore se non accogliamo in modo autentico l’emarginato! 

Ricordiamo sempre l’immagine di san Francesco che non ha avuto paura di abbracciare il lebbroso e di accogliere coloro che soffrono qualsiasi genere di emarginazione. In realtà, cari fratelli, sul vangelo degli emarginati, si gioca e si scopre e si rivela la nostra credibilità!
(Da Radio Vaticana)

venerdì 13 febbraio 2015

Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò, e...«Lo voglio, sii purificato!».



         “E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito...”
Domenica sesta del tempo ordinario  Anno B – 15 febbraio 2015

 Dal Vangelo secondo Marco 1,40-45
 
Venne da lui un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se
vuoi, puoi purificarmi!».
Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!».
E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro».
Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte. 

Parola del Signore!

Enzo: “E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno”.
Mi ha colpito e avuto un brivido, leggendo  questo brano, la frase riportata. Un Gesù severo che ammonisce , caccia via , avverte quasi minacciando un suo miracolato. Il resto tutto normale, solo che l’ex lebbroso non dà retta a Gesù e fa tutto il contrario invece di tacere. Ho avuto l’impressione che Gesù avesse paura di qualcosa, forse “non poteva più entrare pubblicamente in una città…” perché considerato impuro?

Gesù ha trasgredito la legge di Mosè, non poteva toccare il lebbroso. Toccando il lebbroso diventava, sempre per la legge, impuro anche lui. Così Gesù è costretto a ritirarsi “in luoghi deserti”, prendendo su di sé la malattia del lebbroso, considerato secondo la tradizione ebraica un castigo di Dio. Su Gesù, sulle sue spalle incomincia a pesare la croce, il peso dei peccati  dell’uomo

“Gesù per primo tocca il lebbroso;  nessuno lo rimprovera. Non era infatti quello della folla un tribunale corrotto, né gli spettatori erano testimoni dominati dall`invidia. Perciò non solo non lo accusano, ma ammirano stupefatti il miracolo e, ritirandosi, adorano la sua irresistibile potenza, manifestatasi nelle parole e nelle opere”.(Giovanni Crisostomo, Comment. in Matth., 25, 1 s.)

Gesù guarisce quell’uomo dalla lebbra e anche lo rende puro. Un gesto che è fede per l’uomo e in lui una speranza per tutti i poveri e gli esclusi che andavano da lui da ogni parte ma scandalo per i dottori e coloro che si ritengono benpensanti.

Parlavo all’inizio di un Gesù che non sembra più lui per il suo comportamento severo e tassativo: riflettendoci bene il suo gesto e le sue forti parole potrebbero essere anche un gesto di condanna  nei confronti della situazione in cui erano abbandonati i malati di lebbra, visti come morti ambulanti.
Un Gesù che va controcorrente, che non era venuto per abolire le leggi ma per completarle.
Per lui ciò che conta è l’uomo e non importa se piccolo, povero, malato o peccatore… E’ venuto a cercare l’uomo e ad annunciare a tutti la forza dell’amore del Padre. Il silenzio che Gesù chiede è legato anche, come abbiamo visto nel precedenti commenti, a non svelare ancora la sua identità.
 
 Molto bella l’indicazione del testo: “guarito, il lebbroso si allontanò e cominciò a proclamare e a divulgare il fatto”.. Ringraziare per la gioia, proclamare e divulgare la guarigione miracolosa vuol dire testimoniare la potenza di Gesù, non è stupore ma nell’ex lebbroso è fede.

Marco non ci dice se l’uomo guarito si recò dai sacerdoti, ma questo è secondario perché Gesù lo aveva reso mondo, come richiesto dal lebbroso «Se vuoi, puoi purificarmi!». Quell’uomo rimase graziato due volte: guarito nell’anima e nel corpo; aveva , come abbiamo visto, altro a cui pensare, annunciare e testimoniare Gesù, fare sapere a tutti la salvezza ricevuta.
Dai sacerdoti comunque doveva andare per la sua riammissione in seno alla comunità in modo ufficiale come comandava la legge.

Infine una considerazione per completare questa riflessione: a noi cosa dice questo brano?
La lebbra è un segno che esclude, allontana dalla comunità, tiene fuori l’uomo, lo emargina, sinonimo di vita chiusa, un ripiegarsi su se stessi volontariamente o costretti da altri.

Il lebbroso ha il coraggio di disubbidire ad una legge  opprimente, che lo teneva isolato, che lo avrebbe condotto alla morte. Convinto che Gesù lo avrebbe guarito chiese aiuto! Quando non si è in comunione con altri non ci si salva da soli, bisogna avere il coraggio di chiedere aiuto: questo è il messaggio.

La nostra vita di uomini deboli,  cristiani deboli,  spesso convive con una nuova lebbra, non fisica, ma che uccide la nostra  anima, isolandoci dai fratelli e da Dio: chiamiamola peccato, attaccamento ai beni, desiderio sfrenato del meglio a tutti i costi, paura di testimoniare, disprezzo e indifferenza verso il prossimo, obbedienza cieca a leggi inique…

Anche noi abbiamo bisogno di guarire, di andare incontro a Colui che può guarirci, che sicuramente avrà compassione di noi cioè ci amerà  svisceratamente: Venne da lui un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!».
Ne ebbe compassione, tese la mano lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!»

Non farà lo stesso per noi? Abbiamo tutti bisogno di essere guariti!

Mariella: La prima e la terza lettura della prossima domenica, affrontano quello che è stato per secoli un vero e proprio incubo: la lebbra.  A quell’epoca la lebbra era veramente un terribile spettro che suscitava terrore e repulsione al punto tale che i malati venivano isolati emarginati e considerati impuri.
Le norme precauzionali erano effettivamente l'unica difesa possibile verso malattie contagiose, soprattutto se considerate inguaribili. Tuttavia nel mondo ebraico, i lebbrosi non erano solo emarginati per ragioni igienico sanitarie, ma addirittura scomunicati, esclusi dalla comunità religiosa ed addirittura allontanati dal Tempio, perché all’epoca il corpo era ritenuto un tutt’uno con la spiritualità dell’individuo, per cui se il corpo era contaminato anche l’anima era ritenuta impura.

Secondo la nota "teoria della retribuzione" (a ogni delitto doveva corrispondere un castigo e ad ogni azione giusta un premio), ogni malattia o disfunzione fisica era considerata punizione divina per un peccato commesso cioè per una violazione della Legge, che magari era stata fatta involontariamente o senza nemmeno averne coscienza.

Se poi il malato non aveva peccato in nulla, la malattia era considerata come una punizione per i peccati commessi dai suoi genitori o perfino dai suoi antenati. Ogni malattia era sempre considerata segno di peccato e di conseguenza allontanamento da Dio.

Se dunque si tiene conto di tutto questo, si vede subito quale portata sconvolgente riveste il gesto compiuto da Gesù verso il lebbroso che, violando la Legge, lo tocca.  Ma ancor più forte è la sfrontatezza con cui il lebbroso si avvicina a Gesù, s’inginocchia di fronte a Lui e lo supplica di guarirlo.

Non aveva dubbi sui poteri del Nazareno, sapeva bene che solo in Lui avrebbe trovato compassione e liberazione dalla sua condizione di emarginazione e morte.
Infatti non aveva sbagliato, il Maestro accoglie la sua preghiera, si muove verso lui e lo tocca, violando la Legge che imponeva di non avvicinare persone impure, e il lebbroso guarisce.

Gesù ha provato compassione per lui, lo ha toccato, lo ha liberato dalla emarginazione: ormai non è più un ammalato che ha bisogno di cure ma una persona che deve ritrovare la propria dignità nel contesto sociale
Per questo lo invita ad andare dal sacerdote " offri per la tua purificazione, quello che Mosè  ha prescritto come testimonianza per loro", deve mostrare che il suo corpo non è più segnato negativamente, e per questo ha bisogno di un riconoscimento istituzionale da parte dei sacerdoti.

Allo stesso tempo,  gli impone di tacere, Gesù non vuole pubblicità, non vuole che si confonda l'annuncio del "Vangelo" con l'entusiasmo  suscitato dai miracoli, non vuole che si confonda la fede in Lui con l'illusione di aver trovato la soluzione miracolistica ai propri problemi.

Ma cosa vuole dirci questo brano evangelico? Questo lebbroso non ha nome, è uno come noi e a nome di tutti, con la massima discrezione, dice una frase bellissima: “Se vuoi, puoi guarirmi”.
Ecco l’uomo che cerca l’aiuto di Dio, che riconosce il Signore unico salvatore della sua vita.

  Gesù stendendo la sua mano e toccando quell’uomo, manifesta a noi che Dio non toglie il suo sguardo da nessuno, nemmeno dal più grande peccatore, guarendolo manifesta la sua misericordia verso ogni creatura, quando quest’ultima è aperta alla sua Grazia.

Oggi il mondo ha urgentemente bisogno di questo messaggio d'amore, a noi è affidato il compito di testimoniarlo con amore ed accoglienza  verso i fratelli, anche quelli che ci sembrano lontani da Dio per la loro vita dissoluta e senza regole.
E’ senza dubbio estremamente necessario che qualcuno annunci loro la misericordia di Dio, di qualcuno che stenda ancora le braccia verso loro, che non abbia paura di toccarli, che possa addirittura guarirli non con gesti di condanna, ma con atteggiamenti di ascolto
Non capiremo mai abbastanza quanto bene può fare una mano tesa a toccare la vita di un fratello che chiede di essere liberato da una lebbra che esclude e allontana da Dio e dagli altri

E adesso una preghiera da fare nostra:

PREGHIERA
Signore Gesù,
veniamo a te, lebbrosi tra molti lebbrosi,
bisognosi di ritrovare la volontà di guarire,
la volontà di riscoprire la bontà della vita,
anche se gravata di dolori e di fatiche.

Se tu vuoi, puoi guarirci!
Sì, nonostante noi,
toccaci con la tua mano
e pronuncia la tua parola:
Voglio! Sii sanato!

E suscita nel nostro cuore
la gratitudine e la gioia,
il canto della vita nuova
e il canto della totale salvezza
perché possiamo ogni giorno
proclamare le grandi cose che il tuo amore
va compiendo in noi e attraverso di noi.

http://sant-agata.net/




venerdì 6 febbraio 2015

La gente seguiva Gesù assetata di miracoli, ma non era ancora fede...



«Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo
infatti sono venuto!».

Domenica quinta del tempo ordinario: 8 febbraio 2015

Dal vangelo secondo Marco 1,29-39

E subito, usciti dalla sinagoga, andarono nella casa di Simone e Andrea, in
compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei.
Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.
Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati.
Tutta la città era riunita davanti alla porta.
Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demoni; ma non permetteva ai demoni di parlare, perché lo conoscevano.
Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava.
Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce.
Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!».
Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo
infatti sono venuto!».
E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demoni.

Parola del Signore!

Mariella:Il brano evangelico di Marco che abbiamo letto potremmo suddividerlo in due parti, la prima che si svolge nella casa di Simone ed Andrea. Nella seconda parte Gesù si ritira in luogo solitario a pregare e da lì inizia il suo peregrinare per tutta la Galilea a predicare, guarire e scacciare demoni.
 Ma il filo conduttore delle due parti è uno solo, la relazione che Dio vuole instaurare con l’uomo: è un desiderio urgente, infatti, nei primi versetti del brano ritroviamo la parola “subito” ripetuta due volte. Gesù non perde tempo, vuole arrivare il più possibile velocemente al cuore di ogni uomo.

Altra cosa che colpisce nel brano è la relazione personale che Egli instaura con l’uomo, sono citati infatti quattro nomi: (Simone, A Il brano evangelico di Marco che abbiamo letto potremmo suddividerlo in due parti, la prima che si svolge nendrea, Giacomo, Giovanni.) a questi nomi potremmo aggiungere anche il nostro, ognuno di noi è chiamato per nome, ognuno è prezioso agli occhi di Dio.
La relazione che Gesù instaura non è mai distaccata, potremmo dire che ci riporta sempre alla fisicità, al contatto, è Dio che tende la mano all’uomo, che direi quasi lo acciuffa per i capelli, lo strappa alla morte, come nel caso della suocera di Pietro che essendo a letto con la febbre, viene raggiunta da Cristo che si avvicina e la prende per mano.

Ecco questo contatto, questo entrare in relazione personale, che libera la donna dalla febbre, così come l’esser raggiunti dalla grazia di Dio ci guarisce, ci libera dal peccato e dalla morte. La guarigione ha inizio con una mano (quella di Dio) che non fugge ma ci raggiunge e ci solleva.

E' molto bello anche il fatto che vengano portati al Signore "tutti i malati e gli indemoniati, e che più avanti si legga che "tutta la città era riunita davanti alla porta", come dire che il male è presente in ogni persona, e tutti hanno bisogno di essere salvati. Tutti abbiamo bisogno di essere toccati da quella “mano” che ci salva!

Nella seconda parte del brano, scopriamo Gesù che prega in un luogo solitario.  Bella questa immagine del Figlio che entra in comunione con la volontà stessa del Padre che gli rivela cosa deve fare, raggiungere i villaggi vicini, perché anche là dovrà portare l’annuncio di salvezza.
: Il Padre non vuole frastuono, vuole silenzio. Lui è l'anima, Lui è il cuore, Lui è la mente.

Cosa c’insegna tutto questo? Ci insegna a cercare nella quotidianità, quegli spazi segreti che danno salute all'anima, spazi di preghiera, dove niente sia più importante di Dio
Regaliamoci dunque attimi di preghiera:  è lì che attingiamo fiducia e coraggio per proseguire il cammino della vita, è lì che le nostre mani sono dolcemente afferrate dal Signore, è lì che ritroviamo la guarigione dalle tante febbri che ci allontanano dal Regno.
E quando avremo ritrovato la nostra vita, corriamo a salvare altre vite.

Il Signore ci ha presi per mano, anche noi facciamo lo stesso, prendiamo la mano di chi sta per affogare, di chi sprofonda nel buio, di chi non ha orientamento e non ha meta.
Apriamoci alla missione, Dio è con noi, non vuole celebrità, vuole solo salvezza per tutta l’umanità. Non è un Dio che vuole dominare, primeggiare, conquistare, Egli è Amore che si lascia crocifiggere pur di salvarci! 

Sapremo mai renderGli grazie?


Enzo: Dopo l’esorcismo della sinagoga Marco narra la prima guarigione operata da Gesù in casa di Simone alla presenza dei suoi primi quattro discepoli, incominciando così a delineare la potenza di Gesù in cui possiamo cogliere le parole che annunciano il Regno: parole, guarigione, miracoli, esorcismi sono per Marco la conferma della divinità di Gesù, la venuta del Regno è la sconfitta del regno di Satana. “Se io scaccio i demoni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il Regno di Dio” ( Mt 12,28 ).

Gesù dunque uscendo dalla sinagoga si reca nella casa di Pietro. Quel “subito andarono” indica sicuramente la premura di Gesù , venuto a conoscenza della malattia della suocera di Pietro, per farle visita . Gesù spesso si fermava in casa di Pietro quando si trovava da quelle parti della Galilea.
La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei.

Una scena semplice, Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano… la febbre la lasciò ed ella li serviva. Nessun commento da parte di Marco, sembra tutto naturale come se nulla fosse successo. Ma possiamo avvertire la delicatezza di Gesù, la sua tenerezza nei verbi usati: si avvicinò (adagio), la fece alzare (l’aiutò). prendendola per mano (accompagnandola):  che bell’esempio!           

La seconda scena ci presenta Gesù che guarisce “molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demoni; ma non permetteva ai demoni di parlare, perché lo conoscevano” . Domenica scorsa abbiamo visto nel racconto dell’indemoniato Gesù che ordinava ad demonio di tacere, in questa occasione non permette ai demoni di parlare.
Gesù è ancora il Messia nascosto, l’umile servo del Padre: la sua manifestazione avverrà un po’ alla volta: la sua “Ora” di cui parla Giovanni, arriverà gradualmente.

Per capire meglio facciamo un accenno a quella che era la credenza ebraica ai tempi di Gesù sui demoni.
“Secondo la tradizione giudaica ogni demonio ha un suo nome, una sua specializzazione e una sua sfera di competenza ( come gli angeli del servizio divino ) : case, cimiteri, boschi, fiumi, deserti , etc.
I demoni venivano considerati i responsabili di tutti gli eventi inspiegabili, misteriosi, e di tutti i comportamenti strani di uomini e animali ( delirio, licantropia, febbre alta, epilessia, etc.)
Anche le malattie si credevano causate da demoni e questa credenza continuerà anche nel cristianesimo, nonostante questo fosse stato già in parte smentito da Ippocrate nel IV sec. a. C” (http://corsodireligione.it/religioni/esoterismo/demonologia_3.htm)

La guarigione della suocera di Pietro e così tante altre mettono fine alle sofferenze di persone innocenti, emarginate e oppresse. L’evangelista Marco sottolinea che l’accettazione della sovranità di Dio si manifesta nell’abbattimento delle barriere che separano gli esseri umani. Le guarigioni dei malati e degli indemoniati non sono che segni, che devono essere accolti con fede e correttamente interpretati.

La  gente seguiva Gesù assetata di miracoli, ma non era ancora la fede che Gesù più avanti nel suo ministero chiederà di avere. Siamo soltanto all’inizio della vita pubblica di Gesù.  Non sono bastate le guarigioni di Gesù il giorno prima: vediamo la folla la mattina dopo e di buon’ora cercare Gesù, che si era appartato a pregare.
Gli stessi discepoli Simone, Andrea, Giacomo e  Giovanni si mettono alla sua ricerca. Sono alle prime esperienze sulla sequela di Gesù: anche loro sicuramente meravigliati per le opere di Gesù non sanno cosa fare: «Tutti ti cercano!», sono le parole che riescono a  dire quando lo trovano.

Spesso Gesù si ritirerà in disparte a pregare per sottolineare lo stretto rapporto che lo lega a Dio, altro esempio per i discepoli che seguivano Gesù senza penetrare il mistero delle sue parole, delle sue opere, vuole che gli altri vedano, ascoltino, capiscano.  Spesso Gesù si ritirerà in disparte a pregare per sottolineare lo stretto rapporto che lo lega a Dio, altro esempio per i discepoli che seguivano Gesù senza penetrare il mistero delle sue parole, delle sue opere, vuole che gli altri vedano, ascoltino, capiscano.  Più avanti i suoi discepoli gli chiederanno:” Insegnaci a pregare!”. Qualcosa allora incominciavano a capire, il loro cammino di formazione era iniziato ma non del tutto consapevole, ricevono la bellissima preghiera del PADRE NOSTRO CHE SEI NEI CIELI…

Tutti ti cercano! Ma Gesù ha altre intenzioni: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!».

Così Gesù lascia Cafarnao non perché si rifiuta di compiere altri segni che suscitavano tanta speranza nella gente , ma per evitare che i miracoli fossero sfruttati per fini personali invece di essere compresi come segni del Regno di Dio.
Manifestando il desiderio di predicare anche nei villaggi vicini Gesù esprime di volere   annunciare la Buona Notizia a gruppi sempre nuovi di persone e di popoli. Un giorno dirà chiaramente ai suoi discepoli: “Andate in tutto il mondo…”
Continuiamo a seguire Gesù assieme ai suoi discepoli, facendo il loro stesso cammino di fede con semplicità, senza prendere decisioni immediate perché “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva”. (Benedetto XVI, Enciclica “Deus caritas est”, 2005)
 
Mariella: è veramente importante comprenderne il significato e approfondire con Dio quella relazione personale che ci fa una cosa sola con Lui
Per riuscire a realizzare questo profondissimo legame è assolutamente indispensabile riuscire a ricavare ampi spazi di silenzio nei quali restare in contemplazione del suo Volto santo ed in ascolto di ciò che vuole rivelarci
senza la preghiera poi, nessuna relazione è possibile, la preghiera ci apre alla sapienza che Lui vorrà rivelarci ed alla missione secondo il suo volere
rileggiamo più volte questo bellissimo brano e riusciremo a comprendere molte verità ancora velate .

Enzo: Riprendo le parole di Benedetto XVI citate alla fine del mio commento: seguire una persona per trovare un orizzonte nuovo. Prima un discepolato seguendo Gesù e quanto avviene attorno a Lui e imparare. Dopo sicuramente avverrà che Lui ci confermi come apostoli, inviati nel mondo. Pensandoci bene sono ancora al primo stadio... Spesso mi chiedo se riuscirò ad essere promosso.