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giovedì 25 settembre 2014

I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio.


 Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?

 XXVI Domenica del Tempo Ordinario - 28 settembre 2014


Dal Vangelo secondo Matteo 21, 28-32
 
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo».
E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».

Parola del Signore!

 
Mariella:   Il racconto parla di una famiglia come tante nella quale sono presenti due figli che hanno raggiunto l’età per lavorare, il padre, sicuramente un ricco proprietario terriero, chiede di occuparsi della loro vigna.

La risposta dei ragazzi è diversa, il primo dice sì, ma poi si ricrede, sembra non aver voglia di lavorare, e, forse, neppure di discutere col padre, per cui, con quella risposta, chiude il discorso, e se ne va per i fatti suoi.  Il secondo figlio risponde nò, si ribella decisamente alla richiesta del padre, poi però si pente e va nella vigna a fare il suo dovere.  IL primo figlio è l’immagine  rappresenta quella religiosità formale, che non viene da un cuore aperto e generoso, ma si limita a salvare le apparenze. Il secondo figlio viceversa è l’immagine di un ragazzo un po’ impetuoso,forse immaturo, ma buono di cuore e profondamente legato al padre.

 La parabola, che Cristo racconta ha una conclusione sconcertante, che suona come una forte provocazione, un richiamo a vivere in profondità e con autenticità la fede: “In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio”. Con questa espressione  Gesù non vuole affatto accondiscendere al peccato, ma, conoscendo la fragilità umana, sottolinea quel bisogno infinito di salvezza che esiste in ogni uomo e donna che riconosce la propria colpa, al contrario chi si sente giusto, buono, perfetto non cerca la salvezza che viene dall’alto, ma si rifugia nelle proprie certezze e sicurezze; costui resterà chiuso nel suo orgoglio, incapace di cogliere la presenza di Dio, e incapace d’amare.
 
Per questo i pubblicani e le prostitute passano avanti nel regno dei cieli, perché credono a Gesù che li chiama a conversione, prendono sul serio il suo amore, cercano il suo perdono. Passano avanti ai cosiddetti “buoni” perché non si vergognano di chiedere aiuto, perché non fanno finta di essere quello che non sono, non si difendono, non cercano meriti o giustificazioni, sanno che la loro vita è sul baratro del peccato, della morte e per questo chiedono aiuto e cercano il perdono,  la salvezza.
Troppo spesso pensiamo che il male alberghi fuori di noi, che non ci riguardi, mentre invece tutti siamo in continua lotta contro il peccato che purtroppo alberga nel nostro cuore, non possiamo mai abbassare la guardia, sempre dobbiamo vigilare per permettere al bene che è in noi di emergere. La nostra vita deve essere sempre una continua conversione. Gesù ci conosce bene, non s’illude che siamo perfetti, sa che in noi spesso albergano due cuori, uno che dice sì e l’altro che lo smentisce, amiamo apparire di fronte agli altri, ma poi scegliamo le strade più facili e comode da percorrere

Ogni istante dobbiamo sempre rivedere i nostri comportamenti, per far sì che non siano in contraddizione con ciò che diciamo.  Le parole da sole non salvano, occorre metterle in pratica, se vogliamo veramente fare la volontà del Padre.

 Il Vangelo di domenica prossima vuole lasciarci nel cuore questa speranza: possiamo cambiare, possiamo essere diversi, possiamo rinascere in Cristo.  Se anche la nostra vita è lastricata di peccati e di errori, abbiamo una certezza: Dio non ci chiude le porte, Egli sa attendere la nostra conversione, ci chiede di credere al suo Amore misericordioso che salva.


Questo popolo Gesù lo divide in due fazioni: giusti e non, in farisei (coloro che predicano bene e razzolano male) e peccatori , in ubbidienti a parole e obbedienti nei fatti.
Gesù, forse con questa parabola,  ha voluto incoraggiare i peccatori alla conversione proclamando la bontà infinta del Padre celeste, e contemporaneamente un richiamo forte ai farisei per le loro critiche alla sua tolleranza  verso i peccatori, gli abbandonati della società.

Il primo fratello incarna gli osservanti farisei, che sono ubbidienti a parole ma non nei fatti, il secondo, invece, incarna i peccatori che si convertono ascoltando il monito della parola di Dio.

Da una parte, quindi, i capi giudaici, dall’altra le classi disprezzate dei pubblicani e delle prostitute, a tutti è annunciato il Regno, tutti hanno sentito e ascoltato la predicazione al pentimento di Giovanni il Battista.

Le classi disprezzate seguono la via che Giovanni indica per essere giusti: il pentimento; i giudei, invece, professano ma non compiono, osservano la legge non le opere della fede e così facendo si precludono la via alla salvezza.

La vita secondo la legge va completata con il pentimento proclamato da Giovanni e da Gesù, come condizione necessaria per entrare nel Regno, fare parte della Vigna del Signore.

Nella sua forma attuale la parabola riflette indubbiamente la fede dei pagani contrapposta alla miscredenza dei giudei. Anche oggi, a volte, i peccatori si mostrano più disponibili dei cosiddetti  praticanti.

La parabola ci fa capire quanto sia anche per noi reale il pericolo di partecipare, con apparente docilità, durante tutta la nostra vita, alle celebrazioni liturgiche e alle attività della Chiesa, senza mai diventare veri cristiani.

I due fratelli vedono il padre come un padrone, le loro risposte forse denotano una obbedienza forzata  per accontentare il padre-padrone, non vedono la necessità di badare alla “vigna” per amore, al servizio di un Padre buono che invita alla collaborazione per costruire insieme la Grande Vigna, il Regno dei cieli.
Non è così che si è oggi cristiani se non accettiamo liberamente l’invito di Dio: l’amicizia con Dio è garantita dalla nostra scelta libera che ci porta alla conversione che conquista la giustizia dei figli di Dio.


Dice in questa domenica nella prima lettura il profeta Ezechiele: "Voi dite: 'Non è retto il modo di agire del Signore'. Ascolta, dunque, popolo d'Israele: non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra? Se il giusto si allontana dalla giustizia per commettere l'iniquità, a causa di questa muore: ed egli muore appunto per l'iniquità che ha commesso. Ma se l'ingiusto desiste dall'iniquità, che ha commessa, e agisce con giustizia e rettitudine, egli fa vivere se stesso. Ha riflettuto e si è allontanato da tutte le colpe commesse; egli
certo vivrà e non morirà".
(Ez. 18, 25-28)

giovedì 18 settembre 2014

“Amico, io non ti faccio torto… Prendi il tuo e vattene.



Amico, io non ti faccio torto… Prendi il tuo e vattene.

Domenica XXV del tempo ordinario – 21 settembre 2014




Dal vangelo secondo Matteo 20,1-16





Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna.

Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna.

Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”.  Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto.

Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”.

Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”.

Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”.

Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro.

Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro.

Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.   Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”.

Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi»



Parola del Signore!



Mariella: Il contesto è quello tipico della Palestina nel tempo di vendemmia, ma potrebbe essere lo stesso contesto di molte nostre zone agricole, proprio in questi giorni di vendemmia.
Il padrone della vigna chiama operai a orari diversi: all’alba, alle nove, a mezzogiorno, alle tre.
Poi, perfino alle cinque del pomeriggio, chiama operai che lavorano solo un'ora.
La cosa più strana è che, alla fine, il padrone da a ciascuno un denaro come aveva pattuito con i primi, non facendo alcuna distinzione di orari.
Potremmo dire che a ragion di logica, questo comportamento non ci pare corretto e non lo approviamo.  Com’è possibile retribuire allo stesso modo chi lavora un intero giorno e chi fatica per un’ora solamente?
D’altra parte, come sentiremo nella prima lettura di domenica prossima, Dio ha altri pensieri, non sono i nostri pensieri e le sue vie non sono le nostre vie! Egli si comporta così non perché vuole discriminare i primi rispetto agli ultimi, ma perché ama tutti, anche gli ultimi e vuole che per tutti ci sia una possibilità di riscatto e di salvezza.
In fondo, il padrone ha dato ai primi il pattuito solo che, nella sua bontà, ha agito in questo modo anche con gli ultimi. Ed è questo che inquieta i primi operai, perché sono invidiosi degli altri, che avendo lavorato un’ora sola, hanno ricevuto la stessa paga.

Per comprendere la scelta del padrone di questa vigna, che in questa parabola rappresenta Dio, dobbiamo allargare i nostri cuori, cambiare la nostra mentalità, guardare all’altro come ad un vero fratello a cui si vuole bene. Questa logica è sicuramente difficile da perseguire, ma quando la si comprende, la vita cambia totalmente di significato, non più il vivere per conquistare la terra, ma vivere per conquistare il cielo!
San Paolo, nella Lettera ai Filippesi (seconda lettura di questa liturgia domenicale)  invita ciascuno a manifestare gratitudine per il dono della fede ricevuta, infatti poter lavorare tutta la giornata per il Signore nella sua vigna è già una grande gioia. Altro che fatica! Mentre gli operai che hanno iniziato a lavorare solo alle cinque del pomeriggio, fino a quell'ora sono stati lontani da Lui, hanno ricevuto di meno, perché non hanno conosciuto l’Amore del Signore e la sua misericordia, se non alla fine della giornata, ossia della loro vita.

 Il Signore nulla toglie ai suoi figli, ma non cessa di cercare la pecorella smarrita, il suo desiderio è che nessuno vada perduto!

 Lo scopo della parabola è farci percepire che l'amore di Dio è talmente grande da accogliere ogni persona nella sua singolarità, a partire da coloro che sono ultimi.

Ecco dunque che l'invidia dei lavoratori della prima ora,  manifesta l'insensibilità di ogni cristiano che non comprende il senso vero della missione.  Il cristiano è chiamato ad impegnarsi come il padrone, ad evangelizzare, per far gustare a ogni uomo il frutto della misericordia divina, senza discriminazione alcuna!

Ma come riusciremo a trovare la forza per essere operai instancabili e generosi della vigna del Signore? Solo se sapremo coltivare il seme della fede, partecipando ai sacramenti e vivendo il Vangelo nello Spirito di Cristo, saremo in grado di dedicare la nostra esistenza alla missione di evangelizzatori.

Non tutti siamo chiamati alla prima ora, ma il nostro rapporto con Dio ha vissuto vari tipi di percorsi. Se dunque noi desideriamo essere accolti dal Signore anche dopo aver vissuto lontano da Lui per lunghi anni, perché non dovremmo permettere che anche altri ricevano la stessa opportunità di salvezza?



Enzo: “Abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito: che cosa dunque ne otterremo?”: questa domanda di Pietro a Gesù, (Mt19,27), trova la risposta in questo brano-parabola che abbiamo appena letto. La domanda di Pietro forse ce la siamo fatta tutti nella nostra vita: per cosa lavoro? Cosa mi attende lavorando per il Signore?
Così parla l’uomo di questo mondo che tutto vede in vista di un profitto, di un miglioramento nella propria vita, di una ricompensa. Sono le usanze di questo mondo che agisce per scopi immediati, dare per ricevere, fiscalmente corretto. Ma il regno di Dio a cui aspiriamo ha altre leggi, altre misure nel compensare, perché dà ricompensa a tutti coloro che lavorano per realizzarlo, ma non è un dare per avere.



Anzitutto il Regno dei cieli ha un Padrone che chiama liberamente come liberamente accetta chi è stato chiamato: nessuno è obbligato.

Nel mondo chi si adopera di più, chi emerge è ricompensato per quello che fa e per i suoi risultati. Il Regno dei cieli rovescia questa mentalità: “I primi saranno gli ultimi e gli ultimi i primi”, abbiamo ascoltato l’interpretazione dell’evangelista Matteo al brano letto.

Le posizioni sono invertite, le gerarchie dei valori umani sono capovolte: Dio, il padrone della Vigna ha un modo diverso, ha una giustizia diversa, non è legalista, non gli interessano le lamentele, incomincia a ricompensare da coloro che sono gli ultimi degli uomini, da coloro che solitamente non sono considerati, posti da parte: i senza nome, gli ammalati, i poveri, i peccatori, gli stranieri, gli operatori di pace, i sofferenti per la giustizia, i perseguitati…


”I primi saranno gli ultimi e gli ultimi i primi”. Come per dire non c’è Regno dei cieli per chi pretende, per chi ingiustamente protesta…per chi è invidioso e non sa vedere la giustizia di Dio, la misericordia di Dio, la grazia di Dio che di solito trova disponibilità in coloro che noi non teniamo in considerazione, non meritevoli, miserabili peccatori.

Coloro che noi non teniamo in considerazione, che forse disprezziamo, che invidiamo i loro comportamenti, che non vogliamo che si parli bene di loro, coloro che secondo le parole evangeliche saranno beati.


Certamente non è questo il pensiero di Gesù: Gesù non condanna gli operai della prima ora, non vuole mostrare come Dio si comporta, ma come coloro che sono ritenuti giusti o che pensano di esserlo devono vedere e capire la misericordia divina, non si difendono diritti e doveri, ma bisogna cercare solidarietà con coloro che hanno meno di noi, nella parabola solidarietà tra pari.


Il contesto della parabola trova riscontro nell’ambiente storico, situazione concreta della predicazione di Gesù: Gesù intende giustificare, di fronte ai farisei e sacerdoti del tempo, la sua preferenza nei confronti dei peccatori. Gesù non fa differenza tra giusti e peccatori, due condizioni umanamente comprensibili, soltanto condannare coloro che si ritengono giusti e si sentono offesi per questa predilezione e vorrebbero dei privilegi per quello che sono o ritengono di essere.


Gesù si adegua ai disegni di Dio che privilegia gli indigenti e gli umili per dimostrare la sua misericordia infinita. Ai perbenisti giudei Gesù contrappone la liberalità e bontà del Padre, che non agisce secondo una giustizia meritocratica, ma con amore disinteressato.


Matteo rilegge la parabola per esaltare appunto la misericordia di Dio, che accoglie gli umili di Israele e anche i pagani nel Regno in contrasto con la grettezza del giudaismo ufficiale che aveva una visione esclusivista della salvezza e la convinzione della superiorità dei giudei su tutte le altre nazioni: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”.


Israele, popolo eletto, non vuol capire la bontà del suo Dio, si allontana dall’Inviato di Dio atteso da secoli, sfidando la pazienza divina.



Dalla liturgia del Venerdì santo:


"Popolo mio, che male ti ho fatto?
In che ti ho provocato? Dammi risposta.
Io ti ho guidato fuori dall'Egitto,
e tu hai preparato la Croce al tuo Salvatore…?
…Io ti ho piantato, mia scelta e florida vigna,
ma tu mi sei divenuta aspra e amara:
poiché mi hai spento la sete con aceto,
e hai piantato una lancia nel petto del tuo Salvatore…
…Io ti ho posto in mano uno scettro regale,
e tu hai posto sul mio capo una corona di spine.
Io ti ho esaltato con grande potenza,
e tu mi hai sospeso al patibolo della croce".
(dalla liturgia del Venerdì Santo)
Questo pianto di Dio è un mistero.
Certo una risposta va data: ciascuno la deve dare; qui è in gioco una responsabilità personale e comunitaria che non può essere elusa o forse meritiamo la parola di Gesù: “Amico, io non ti faccio torto… Prendi il tuo e vattene” ?



Mistero incompreso rimase anche il pianto di Gesù su Gerusalemme: Luca 19,41-44
In quel tempo, Gesù, quando fu vicino a Gerusalemme, alla vista della città pianse su di essa, dicendo: “Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi.
Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata”.


Dio insegna, ama, previene, attende da ognuno una risposta: qual è oggi la nostra? Quale strada scegliamo?








venerdì 12 settembre 2014

ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE





ESALTAZIONE DELLA SANTA CROCE

Domenica 14 settembre 2014



Dal Vangelo secondo Giovanni 3,13-17

Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo.
E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.

Parola del Signore!


Enzo:  La Chiesa celebra domenica prossima il trionfo della Croce, segno e strumento della nostra salvezza. «Nell’albero della Croce tu (o Dio) hai stabilito la salvezza dell’uomo, perché donde sorgeva la morte di là risorgesse la vita, e chi dall’albero traeva vittoria, dall’albero venisse sconfitto » (prefazio della Messa).

Gesù prende spunto dal suo incontro con Nicodemo con cui aveva parlato di ciò che dovrebbe essere facile comprendere per una nuova rinascita … Nicodemo non fu in grado di capire le parole di Gesù, e queste non sono riuscite a portarlo alla fede a causa delle sue disposizione intellettuali e religiose  a ricevere la rivelazione di Gesù, i nuovi misteri delle cose celesti.

Nicodemo non aveva capito, forse non poteva capire, di quale rinascita parlava Gesù, era ben lontano come mentalità e formazione.

Ecco che Gesù, in questo monologo, dà delle indicazioni precise per quella rinascita:
-  parla del suo ritorno al Padre: Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. Gesù sarà la porta per arrivare al Padre. Gesù che era disceso dal cielo, vi doveva salire nella pienezza gloriosa della sua risurrezione, doveva così essere glorificato dal Padre. Ricordiamo che nella risurrezione di Gesù poggia la nostra fede: se Lui è risorto risorgeremo anche noi: la croce precede la risurrezione e la gloria.
- Gesù radica nella storia di Israele la novità che egli apporta: E come Mosè innalzò
il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo: come il serpente innalzato nel deserto strappava alla morte gli ebrei infedeli, così “il Figlio dell’uomo sarà segno di salvezza per coloro che crederanno in  Lui, anzi è Lui stesso la salvezza.
Questo innalzamento di Gesù indica la sua morte in croce: in quella croce il sacrificio in cui si rivela l’amore di Dio: “Dio ha tanto amato il mondo da dare (innalzare) il suo Figlio…”, la croce diventa espressione ultima dell’amore di Dio, in cui il Figlio e il Padre sono in comunione in uno stesso amore per il mondo.

-  L’amore di Dio in Gesù è incondizionato, ma esige la risposta dell’uomo, perché da questa avviene il giudizio, dalla risposta che noi diamo: Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui

Avviciniamoci dunque a celebrare l’Esaltazione della Croce prendendo spunto da queste parole di sant’Andrea di Creta, vescovo (settimo secolo):

“Noi celebriamo la festa della santa croce, per mezzo della quale sono state cacciate le tenebre ed è ritornata la luce. Celebriamo la festa della santa croce, e così, insieme al Crocifisso, veniamo innalzati e sublimati anche noi. Infatti ci distacchiamo dalla terra del peccato e saliamo verso le altezze. E' tale e tanta la ricchezza della croce che chi la possiede ha un vero tesoro. E la chiamo giustamente così, perché di nome e di fatto è il più prezioso di tutti i beni. E' in essa che risiede tutta la nostra salvezza. Essa è il mezzo e la via per il ritorno allo stato originale”.


Mariella: Oggi noi cristiani celebriamo la Croce, perché quel legno, da strumento di morte e umiliazione, è stato reso segno visibile di vittoria da Cristo. Così è radicalmente cambiata la nostra vita e quella del mondo intero: le croci che sempre e comunque ci affliggono, non sono più per noi solo dolore e sconfitta, ma sono passaggio verso una vita nuova. Il dolore vissuto senza il conforto della fede, genera solo disperazione o rassegnazione, ma da quando Cristo ha dato un senso alla sua croce, rendendola per tutti noi strumento di redenzione, noi sappiamo quale significato possiamo dare alle nostre sofferenze più profonde: le condividiamo con Lui, per rinascere con Lui a vita nuova.  Ecco che allora quella Croce Santa che è piantata nel cuore e nella vita di ognuno di noi, diventa albero di vita, da cui sgorga ogni grazia e salvezza per l’eternità. Ai piedi di un albero era iniziata la nostra tragica storia di peccato, ma Cristo è entrato amabilmente nella vita del mondo e da albero crociato segno di morte, rinverdisce la nostra speranza.


PADRE AUGUSTO DRAGO:  Precedentemente Gesù aveva parlato della Croce come luogo del suo innalzamento e come luce radiante di verità e di amore. Adesso spiega in che cosa consista questo amore che si irraggia dalla Croce. " Dio ha tanto amato il mondo..." Gesù sembra subito dirci che dalla Croce Dio si manifesta come un Amore più ostinato di ogni possibile peccato. 

"Mondo" in san Giovanni spesso significa una realtà negativa di cui è principe il maligno, Satana. "Veniva nel mondo la Luce vera, ma il mondo non lo riconobbe" era stato detto nel Prologo del Vangelo. E ciò nonostante Dio in Gesù ama il mondo!. Sì, l'Amore che Dio manifesta sulla Croce di Gesù è un amore che non demorde, più ostinato del peccato. Tutti in un modo o in un altro ci troviamo in esilio abitando una terra che non appartiene a Dio, ma al peccato. In Esilio: lontani da noi stessi, dalla percezione della vita, esiliati dalla terra promessa della speranza e dell'Amore, esiliati in terra straniera dove ci sentiamo alienati dalla vita e dalle cose, esiliati dalla luce della Verità.
 
 Brancoliamo spesso nel buio della nostra razionalità fine a se stessa ed eretta, come una divinità, sull'altare del nostro io più profondo. In fondo che cosa è mai il peccato se non vivere esiliati dall'Amore? Ecco perchè dall'alto della Croce, fonte radiante di Luce e di Amore, Gesù dice che attirerà ogni cosa a sé. Questo è l'Amore di Dio per il mondo, per noi, per l'uomo che vive nel peccato. Dio non si arrende mai! Tanto è ostinato l'Amore di Dio per il mondo e per noi, che è Lui stesso a metterci nel cuore la nostalgia di una vita più vera, più autentica. E' Dio in Gesù che fa scaturire il canto nel cuore di chi, tra noi, dopo aver vissuto l'amarezza di non essere libero perché abitato dal peccato, cerca la via della Luce. Allora l'Amore per la Vita che viene dalla Croce si fa canto di liberazione e di guarigione. Liturgia di lode e di ringraziamento. Nel nostro testo l'Amore ostinato di Dio prende forma e contorni ben precisi.

 "Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio Unigenito, perché chiunque crede in Lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna"! Dio dunque ama il mondo. Esso è lo spazio dove l'uomo dipinge e costruisce la sua storia, ma dove spesso, tutto diviene caos e disordine a causa del peccato. Eppure Dio ama, ed ama per salvarci, e ci si salva solo attraverso la fede, ossia attraverso la certezza di essere amati ostinatamente. Che cosa poteva darci di più caro, di più prezioso, di più unico, se non il suo Figlio Unigenito? 

I Padri definivano questo Amore di Dio "folle" di una follia che è tutta divina. Lo ripeto: Dio non si arrende mai! L'Amore non giudica ed ha come scopo quello di darci la vita eterna, vale a dire il suo fine è quello di unirci strettamente a Dio fino a goderlo per sempre nella pienezza del Regno. Fino a renderci perduti ed abbandonati alla Bellezza dentro la quale abiteremo per sempre. La misura dell'Amore è la fede nell'Amore. Di fatti chi crede non sarà condannato, Ma chi non crede è già condannato.

 La condanna avviene ora, adesso, nel tempo del vivere. Quale condanna? C'è forse condanna peggiore se non quella dell'essere esiliati dall'Amore? Questa è la condanna: essere e vivere senza capacità di vero Amore! E non è Dio che condanna, ma l'uomo stesso che si autocondanna, si autodistrugge. Chi non ama è nella morte, dice san Giovanni nella prima lettera. E così, esiliato dall'Amore, l'uomo vive la sua condanna come arsura di amore e va alla ricerca continua di cose che possano appagarlo ma non calmano l'arsura. 

Il Desiderio dell'Amore, quello vero, è stato ucciso! Guai a quel uomo che non sceglie le vie dell'Amore. Non sarà mai se stesso, non sarà mai realizzato. C'è dunque un giudizio che viene da Dio: è per quelli che hanno creduto all'Amore e lo hanno vissuto. C'è un giudizio che nasce dal cuore dell'uomo. Un giudizio di condanna perché si è auto escluso dall'Amore. Perché questa auto esclusione? Perché questa auto condanna? Perché l'uomo crede di più alle ragioni della sua ragione che all'Amore, il quale aspetta semplicemente di non essere ragionato, ma accolto e vissuto. La ragione diventa in tal modo idolatria.
 Dio cessa di amare questi uomini? No! Sta scritto infatti: La fedeltà del Signore dura in eterno! L'Amore del Signore non ha mai fine. Dio infatti non può non amare: è Amore sostanziale. Se smettesse di amare cesserebbe di essere se stesso! Ecco allora che la Croce diviene il Simbolo dell'Amore crocifisso di Dio  .Egli è e rimane crocifisso all'Amore. Soffre quando non è Amato, ma continua ad amare con lo stesso ostinato Amore. Non si dà pace... Questa è la sofferenza dell'indicibile nostro Dio! 
Ed  è il suo ostinato Amore che vince il mondo che non lo riconosce, anzi ha già vinto! Sulla Croce ha già posto per ciascuno di noi la Parola fine ad ogni sforzo umano di fedeltà da parte nostra: ha fatto tutto Lui. A noi solo il compito di accogliere e mangiare il frutto dell'Albero nuovo che ci fa permanere nel Paradiso terrestre. Ha tanto amato il mondo da far sgorgare dal Petto del suo Figlio una sorgente di grazia infinita. 

La Luce è venuta nel mondo, constata amaramente Gesù, ma ci sono molti che odiano la luce ed amano le tenebre. Hanno paura della Luce. Essa infatti fa vedere cose che si vorrebbe tenere nascoste, per questo amano le tenebre. Invece occorre fare Verità: cioè per mezzo della Luce, che è lo splendore dell'Amore, far apparire ciò che "veramente siamo": peccatori, fragili, negativi, ma la verità è questa: se accogliamo di esserlo, scopriremo di essere amati proprio per questo!  

Fratelli, sorelle: non abbiamo dunque paura della Luce, quella che mette a nudo ciò che siamo veramente! Essa ci salva e ci guarisce. Usciamo dai nostri sepolcri e lasciamo che l'Amore invada i nostri cuori perché la sua potenza ci possa condurre e prendere per mano verso le vie della Vita eterna alla quale sospiriamo.

venerdì 5 settembre 2014

Correzione fraterna:Dove c'è la comunità riunita nel Suo nome, lì c'è Dio.





Domenica XXIII del periodo ordinario 7 settembre 2014


  
Dal vangelo secondo Matteo 18,15-20

Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te

e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni.

Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.

In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.

In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà.

Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».


Parola del Signore!

Enzo: Assistiamo in questo brano ad una lezione di catechesi in cui Gesù si rivolge ai suoi discepoli che saranno alla guida della comunità, lezione di comportamento nei confronti dei propri collaboratori e di ogni singolo componente di una comunità ecclesiale: Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo.



Quale deve essere il comportamento verso chi sbaglia e commette colpa verso terzi o  verso la stessa comunità, o sia opera di scandalo, di rivalità?

Gesù parla delle famose pecorelle smarrite verso le quali si ha il dovere  di ravvedere affinché tornino sulla retta via mediante una correzione fraterna infondendo sempre la speranza di un felice ritorno alla comunione col Padre e con i fratelli.

Mai umiliare, perdonare, cercare l’interesse del peccatore nella comunione fraterna, mai giudicare e tanto meno condannare.



Oltre l’ammonizione privata Gesù ci mostra altri provvedimenti da adottare

- 2 testimoni in conformità alla procedura giudiziaria dell’A:T

- deferimento alla Chiesa ( comunità locale)

- se non c’è ravvedimento considerare quel fratello come pagano… qui non si parla di “scomunica” ma soltanto di allontanamento in attesa sempre di un ritorno, e un consiglio ai cristiani di evitare chi persevera nell’errore, non si arrende alla correzione e si ostina nel peccato.



per ultimo, ma non meno importante l’arma della preghiera… Fra le cose elencate mi sembra che la cosa ultima raccomandata da Gesù sia la più importante, la preghiera che deve precedere sempre e accompagnare ogni nostra iniziativa per dare valore al nostro impegno ma soprattutto perché così Gesù sarà con noi: Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».



Se dovessimo pensare che la nostra correzione fraterna sia fallita, non facciamo mai mancare la speranza, attacchiamoci con forza a quella preghiera capace di spostare le montagne nel nome di Gesù, ricordando a noi e al Signore che stiamo facendo un gesto d’amore verso quel fratello,  come Lui ci ha raccomandato. A Lui piacciono i nostri racconti.





La presenza di Gesù  è la sanzione divina all’operato della Chiesa, alle regole di disciplina stabilite da Lui e prese sotto la guida dello Spirito e nella carità. Dove c'è la comunità riunita nel suo nome, lì c'è Dio.



Suor Giuseppina Pisano così invita a alla correzione nel suo commento a questa pagina di Vangelo:

“Quando parliamo di correzione fraterna, antichissima pratica delle comunità cristiane, non parliamo dunque, di un atteggiamento gretto, meschino, pedante, rigido, bigotto, che diventa facilmente ipocrita e disumano; parliamo di altro, che esige maturità, intelligenza, prudenza, delicatezza, e tolleranza; parliamo di una vigilanza affettuosa, che nasce da una fiducia reciproca, da una conoscenza profonda delle persone che ci stanno vicine, conoscenza della loro storia, dell'ambiente sociale culturale in cui si sono maturate, delle loro capacità, dei loro progetti e desideri, come anche delle loro fragilità, che possono indurli nella tentazione di lasciarsi sedurre, oggi più che mai, dai numerosi idoli, che la cultura corrente propone”.



E sant’Agostino nel suo commento ci raccomanda: “Nostro Signore ci esorta a non rimanere indifferenti ai peccati che possiamo commettere gli uni contro gli altri, non cercando che cosa rimproverare ma badando a quel che si deve correggere. Egli infatti afferma che uno ha lo sguardo acuto, per togliere la pagliuzza dell'occhio d'un suo fratello, se non ha una trave nel proprio occhio. Ma che cosa vuol dire questo? Cercherò di farlo capire brevemente alla Carità vostra. La pagliuzza nell'occhio è la collera; la trave nell'occhio è l'odio. Ebbene, quando uno che ha l'odio rimprovera un altro ch'è in collera, vuol togliere la pagliuzza dall'occhio d'un suo fratello ma n'è impedito dalla trave che porta nel proprio occhio. La pagliuzza è l'inizio d'una trave, poiché quando la trave nasce è una pagliuzza. Innaffiando la pagliuzza la si fa arrivare ad essere una trave; alimentando l'ira con i cattivi sospetti, la si fa diventare odio.



A questo punto sarebbe bello e interessante rileggere alcuni passi degli Atti degli apostoli in quei capitoli riguardanti la vita comunitaria e la pratica della correzione fraterna nelle prime comunità cristiane, e qualche capitolo della prima lettera dell’apostolo Paolo ai  Corinzi; e ricordare i brani evangelici che si riferiscono alla misericordia divina, agli incontri di Gesù con i peccatori…





Mariella: Molto importante è anche la seconda lettura della liturgia di domenica prossima

tratta dalla lettera ai Romani di Paolo, nella quale è indicata la legge nuova di Cristo, maestro e modello di carità senza limiti né distinzioni.

Infatti ogni comandamento si ricapitola in questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. In questa ottica si concentra il cap.18 di Matteo: l'esistenza cristiana si riassume nell'amore.



L'espressione "tuo fratello"che incontriamo nelle prime righe del brano, vuole sottolineare che la Chiesa deve essere una comunità di fratelli che camminano insieme, che si aiutano, si sostengono, si correggono a vicenda; che non giudicano ma guidano alla giusta via chi si allontana, che sanno perdonarsi fra di loro e soprattutto, amarsi come Gesù ci chiede di fare.

Ma, noi cristiani siamo disponibili ad attuare tutto questo? Siamo capaci di amare secondo gli insegnamenti ricevuti?



Ben presto sperimentiamo la nostra inadeguatezza e la nostra incapacità, le nostre sole forze non bastano, se al centro della comunione fraterna non mettiamo la preghiera, fatta insieme, col cuore oltre che con la mente!

Non saremo mai in grado di accogliere “l’altro” come un dono, se non sapremo chiedere al Signore che allarghi gli orizzonti del nostro cuore, tenteremo sempre di far prevalere le nostre ragioni, i nostri interessi, i nostri egoismi, le nostre false sicurezze.



Solo lo Spirito Santo ci riempirà di amore, quello vero, quello che non conosce limiti né misure, quello che si annulla per donare all’altro, amore discreto, che non mortifica, non umilia, non divulga, non offende, non infanga, ma è pieno di carità!



La Chiesa è dunque una comunità nella quale i fratelli sono responsabili della fede dei loro fratelli. Ma certamente gli sforzi umani possono finire in un insuccesso se non facciamo affidamento sull’aiuto del Signore, sempre pronto ad andare in cerca della pecora perduta.

Possiamo sicuramente dire che il cristiano, oltre a cercare di correggere il fratello che sbaglia, ha il dovere di affidarlo alle mani del Padre, perché là dove falliscono gli uomini può riuscire Dio!


Enzo: Sì, è proprio vero. se tutti i cristiani fossimo capaci di amare come Gesù vuole, la terra sarebbe un paradiso, il Regno dei cieli anticipato... Se fossimo capaci di vincere il male con il bene non ci sarebbero guerre, odi...ma pace, quella inaugurata da Gesù con la sua Risurrezione che tanto stentiamo a capire e annunciare...Non facciamoci scappare la speranza che tutto questo possa accadere.


Mariella: Non per nulla il Santo Padre continua a ripeterci che i pettegolezzi, le chiacchiere, le polemiche sterili non servono a null'altro che a dividerci fra noi e soprattutto ad allontanare quanti vorrebbero avvicinarsi a Dio.

Il nostro cuore deve essere sempre rivolto al bene, ossia a cercare di seminare pace e non guerra, amore e non discordia, misericordia e non giudizio impietoso, mitezza e non aggressività..

solo con queste premesse potremo permetterci di cercar di correggere il fratello che ha sbagliato.


Enzo: Tutto questo da fare, da vivere insieme con gli altri fratelli, condividere l'amore che ci è stato donato per donarlo agli altri: da soli possiamo fare ben poco, è la Chiesa che tutti formiamo che dobbiamo costruire integerrima e santa davanti al mondo. E' un'utopia? non ci voglio nemmeno pensare, ma è possibile!!