BENVENUTO



B E N V E N U T O !! Lo Spirito Santo illumini la tua mente, fortifichi la tua fede.


venerdì 29 luglio 2016

Liberarsi dalla voglia di successo...



La vita non dipende dalla sovrabbondanza dei beni materiali

Domenica 18ma del T.O – Anno C 


Dal vangelo secondo Luca 12,13-21


Uno della folla gli disse: «Maestro, di' a mio fratello che divida con me l'eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell'abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».

Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: «Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così - disse -: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e divertiti!». Ma Dio gli disse: «Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?». Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».

Parola del Signore!

Enzo: Può succedere, anzi succede ancora oggi che fratelli aspirino all'eredità paterna, prendere tutto ciò che possono per se stessi, bisticciare perdendo quella comunione fraterna esistente fino a quel fatidico giorno.

La risposta di Gesù a quell'uno della folla è chiara. Gesù ammaestra, non giudica, anzi rifiuta il ruolo di mediatore tra due fratelli, consiglia:” tenetevi lontani da ogni cupidigia”. Il ricorso a Gesù per una questione di eredità dimostra la stima che godeva presso la gente. Spettava ai dottori della legge dirimere le vertenze giudiziarie. Gesù non parla di possesso, ma di desiderio smodato, l'egoistico desiderio di possedere sempre di più, il cercare la propria sicurezza nel possesso di beni. Egli, Gesù, doveva dedicarsi esclusivamente all'annunzio del Regno di Dio.

Gesù mette in guardia i discepoli dall'avidità che stravolge persino i rapporti familiari. La vita non dipende dalla sovrabbondanza dei beni materiali, come viene chiarito nella parabola successiva, conosciuta come Parabola del ricco insensato.

Gesù, rivolgendosi alla folla presente, anche se era già chiaro l'insegnamento, insiste indicando una via da seguire per liberarsi dalla voglia del possesso: “Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio”. Non si tratta di arricchire a vantaggio di Dio, pensando di fare del bene, ma di usare i beni secondo una logica voluta da Dio.

La preoccupazione del ricco per riporre i frutti della terra al sicuro era un atto di saggezza, opportuno per l'amministrazione dell'azienda. Non è biasimato per la sua avidità o avarizia. L'abbondanza dei beni era considerata una benedizione divina.

Il ricco è detto insensato, perché aveva rivolto il suo interesse sui beni effimeri, senza pensare ad altre realtà più importanti: non fa conto di Dio, non si cura degli indigenti ma pensa soltanto ai propri interessi materiali, a godere dei beni accumulati ,non pensa alla morte.

L’evangelista si è preoccupato di rendere concreta la parabola, e per questo ha situato subito dopo nel suo vangelo alcuni insegnamenti del Signore Gesù allo scopo, appunto, di esemplificare il significato di quel “per Dio”, insegnamenti che commenteremo la prossima domenica.
 
Facciamo attenzione alle parole di Gesù: sono sempre un invito chiaro ad essere figli di un Padre che ci vuole bene, non sono comandi, non sono leggi che obbligano, sono dettati da un richiamo alla salvezza. La sequela di Gesù è volontaria, si abbraccia soltanto dopo averne capito l'importanza della sua bontà. Non si può essere cristiani a metà tempo, non si può fraintendere la Croce.

Mariella:Fra gli evangelisti Luca è senza dubbio quello che mette più a fuoco la radicalità del messaggio evangelico e scava nel profondo del nostro cuore per deporre il seme della Parola, tutto questo significa anche coinvolgimento emotivo e trasformante, l'ascolto non può rimanere tale, deve concretizzarsi in un cambiamento di mentalità. Nulla può rimanere uguale se l'annuncio è forte e l'ascolto è vero! Non si può concepire un discepolo di Cristo, senza di conseguenza anche un mutamento di vita!

In Luca il tema del corretto uso dei beni ha un posto centrale e rilevante, in questo contesto comprendiamo l'importanza del brano appena letto.  Il brano inizia con una domanda fatta a Gesù: "Maestro, dì a mio fratello che divida con me l'eredità"
Ma Gesù, anzichè scendere nella discussione tutta umana, vola alto e risponde con un'altra domanda che di per sè implica una scelta:
 "O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?"

In questa seconda domanda non vi è certo un volersi disinteressare della disputa fra i rapporti umani frai due fratelli, quanto piuttosto un voler mettere a fuoco la sua figura. Chi è Gesù?
Infatti, chi trova la propria verità di vita nella relazione con Gesù, sa bene chi lo ha mandato fra gli uomini, il Padre, è Lui che lo ha costituito mediatore e giudice, Egli ci rivela il senso profondo dell'esistenza umana, la verità che ogni uomo deve cercare e sentire nella propria coscienza.

Dividere l'eredità non significa solamente risolvere un conflitto fra i fratelli, perchè quando si fa esperienza dell'amore di Cristo, cambia il cuore, la mente ed anche la vita.
"Dividere" non ha più il significato egoistico di prima, non è più appropriarsi della parte spettante, ma diventa un "Con-dividere" ossia gustare la ricchezza come un bene da godere in fraternità. E' dunque un tenersi lontani dalla cupidigia, perchè la vita non la si vede più come fine a sè stessi, ma è dono, è parte di un amore più grande quello che lega il Padre al Figlio ed il Figlio ai fratelli.  Così la vita è vissuta veramente in libertà, non più schiavi del possesso e della prepotenza, ma è una libertà nell'amore, nella condivisione, nel servizio, nella gratitudine, nella pace.

Ed ora vorrei dare voce a Padre Augusto per alcune riflessioni ed approfondimenti sul tema del possesso dei beni, che sicuramente ci faranno comprendere ancor meglio il significato vero dell'insegnamento di Gesù.


Padre AUGUSTO DRAGO: 

Penso alla ricchezza come elemento che mi allontana dal Signore e lo recide dalla mia vita.
Ma quale ricchezza? La domanda si impone.
Infatti quando, di solito parliamo di ricchezza, pensiamo alla quantità delle cose che
possediamo, ai soldi, alle cose che catturano la nostra concupiscenza.
Credo che questo sia un modo molto riduttivo di considerare la ricchezza che mi allontana dal
mio Signore. Basta infatti che io sia terribilmente attaccato a quel poco che ho!
La ricchezza allora non è qualcosa di quantificabile.

In realtà essa tocca la sfera emotiva e possessiva di ciascuno di noi.
Il suo vero nome è: "Attaccamento".Attaccamento anche al poco o nulla che si ha.
Posso avere infatti poco ed essere ricco lo stesso.
Quando anche il poco diventa importante per noi, tanto importante da farci dimenticare Dio,
allora è ricchezza!

Dio non guarda alla quantità ma alla qualità delle cose e al modo con cui ci relazioniamo con
esse. Su questo punto credo che tutti, io per primo, dobbiamo fare uno stringente esame di
coscienza! Di quante "piccole" cose è fatta la nostra vita, tanto piccole da diventare grandi ed
importanti per noi, sì da difenderle con le unghie.
Possiamo giungere a far dipendere la nostra vita e la sua felicità anche da piccole cose, se esse
prendono il posto di Dio. Possiamo dire tante cose sulla ricchezza! Ma la vera riflessione deve
essere portata sull'attaccamento che abbiamo alle cose! E' importante comprendere questo
concetto.

Se, infatti restiamo attaccati all'idea che non siamo ricchi perché non abbiamo un conto in
banca a dieci cifre, ma tuttavia siamo ricchi se siamo attaccati alle nostre cose, ai nostri vizi, alle cose che anche umanamente e giustamente amiamo, e che in realtà mettiamo al posto di Dio.
Credo che Gesù questo abbia voluto dirci.
Guardiamo dunque alla qualità della nostra vita, ricordando che la più grande ricchezza che
abbiamo e che elide Dio dalla nostra vita, è il nostro "IO"!
Fintantoché non lo avremo "rinnegato" saremo sempre ricchi di noi stessi: eterni adoratori di
noi stessi, e quindi idolatri.

Signore liberaci dal nostro io prepotente, arrogante, possessivo, egoista!
Dio non conosce solamente il cuore dei farisei, ma conosce anche il mio
Dice il Salmo 139:
"Signore tu mi scruti e mi conosci, tu conosci quando mi siedo e quando mi alzo,
intendi da lontano i miei pensieri, osservi il mio cammino e il mio riposo,
ti sono note tutte le mie vie..."

Dio conosce il mio cuore!
Posso nascondere agli altri i miei pensieri, posso fare due facce davanti agli altri, posso
nascondere con un falso sorriso accattivante il disprezzo che sento di provare per qualcuno,
posso pensare una cosa e dirne un'altra: ma Dio conosce il mio cuore: davanti a Lui non posso
barare!
Egli mi giudicherà secondo quello che vede nel sacrario del mio cuore!
Signore, ti prego, dammi un cuore semplice, da fanciullo,
limpido e trasparente, amante della Verità e che non sappia camuffare nulla,
e che sia luminoso come il meriggio, carico e pieno della Bellezza dei tuoi pensieri.
Che i miei pensieri siano i tuoi, e i tuoi i miei pensieri.
"Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio". Ed io voglio ardentissimamente vederti mio Signore. 

E ADESSO, SE VUOI, PASSA ALLA PAGINA DI PADRE AUGUSTO DRAGO... 





sabato 23 luglio 2016

Signore, insegnaci a pregare!


Padre”: la preghiera del discepolo ha lo stesso tono e la stessa confidenza di quella di Gesù.

Domenica 17ma del Tempo Ordinario . Anno C 


Dal vangelo secondo Luca 11,1-13


Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
Padre,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno;
dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
e perdona a noi i nostri peccati,
anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,
e non abbandonarci alla tentazione».

Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: «Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli», e se quello dall'interno gli risponde: «Non m'importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani», vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.

Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».


Parola del Signore!


Il brano di vangelo che leggiamo in questa domenica, forse, è una delle più belle pagine del vangelo, per me lo è sempre stato. Spesso abbiamo letto che Gesù si ritirava sovente in luogo deserto, appartato per pregare. Con lui sicuramente si trovavano i discepoli più intimi, i dodici che spesso dormivano, altre volte rimanevano in attesa, ma questa volta osano chiedere qualcosa di insolito: “Signore, insegnaci a pregare”.

Da dove nasce questa domanda? Dall'esempio dei discepoli di Giovanni o dall'esempio di Gesù? Forse da tutti e due, ma l'esempio di Gesù deve aver suscitato la curiosità, forse il desiderio di pregare come Lui, assomigliare alla preghiera dell'inviato di Dio, il Messia. Nasce la preghiera del Padre nostro, la preghiera più bella e concreta per tutti i discepoli di Gesù nel tempo a venire, figli anch'essi del Padre celeste. Non è bello tutto questo?

La prima parte ci mette in contatto col Padre, in atteggiamento di discepoli e figli devoti che lodano
la sua presenza nei cieli che ci osserva amandoci; esprimiamo il desiderio che sia sempre da tutto onorato il nome di Dio, e infine bramiamo di farci partecipare al suo Regno eterno una volta che abbiamo fatto la sua volontà, quella volontà osservata nei cieli.

Il Padre nostro è diventato la preghiera del discepolo cioè di colui che ha lasciato tutto per seguire Gesù e ha fatto del Regno l’unica ragione della sua esistenza. Questa preghiera non è una formula fissa da trasmettere con fedeltà letteraria, ma indica e trasmette un atteggiamento interiore di povertà e dipendenza, dipendenza di figli e perché generati alla grazia ed eredi della beatitudine celeste.
Padre”: la preghiera del discepolo ha lo stesso tono e la stessa confidenza di quella di Gesù. L’invocazione “Padre” è infatti tipica sulle labbra di Gesù: esprime la sua filiazione . Gli evangelisti Matteo e Marco aggiungono “ nostro, che sei nei cieli”. Il discepolo deve pregare in unione a Cristo, in qualità di figlio. Sta proprio in questo rapporto di figliolanza l’originalità cristiana. Paolo apostolo scriverà ai Galati 4,6:
E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: «Abbà! Padre!». Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio”.
Figli di Dio, dunque! Chiamare Dio “Padre” diventa un nostro diritto. Anche questo è bello, grazie a Gesù!
Sia santificato il tuo nome , venga il tuo regno”: Come figli desideriamo e invochiamo che tutti riconoscano e santifichino il padre, non un riconoscimento generico ma una richiesta a Dio di svelarci il suo volto attraverso la storia della salvezza e nella vita della comunità, la comunità come segno trasparente della presenza di Dio. In sostanza chiediamo al Padre di essere suoi testimoni come lo fu Gesù . Aspettiamo come dono il suo Regno, chiediamo il coraggio e la costanza di costruirlo.
La seconda parte riguarda più da vicino il nostro quotidiano, bisognoso dei favori del Padre a causa della nostra debolezza umana:
Dacci oggi il nostro pane quotidiano”: il verbo (“dacci”) è all’imperativo presente e indica un’azione ripetuta, giorno per giorno. C’è qui un riferimento alla manna, il pane del cielo che aveva rifocillato il popolo di Dio durante l’esodo, ma i giudei si aspettavano un nuovo pane offerto come nutrimento alla comunità degli ultimi tempi.
Perdonaci i nostri peccati”: Luca ha cambiato il termine “debito” che ai greci non sarebbe apparso nel suo significato religioso, con il termine “peccato”. Ma ha conservato però il termine “debito” per indicare il perdono al prossimo, bisogna condonare anche i debiti, non solo le offese morali. Il perdono di Dio precede il nostro, si modella sul suo e ne è la risposta.
Non lasciarci soccombere nella tentazione”:  di quale tentazione si parla?
Tentazione è tutto ciò che può appesantire il cuore del discepolo così che la Parola viene in esso soffocata: tentazioni sono le prove quotidiane che, alla lunga, logorano il coraggio iniziale, le tentazioni che possiamo leggere nella parabola del seminatore, Lc 8,13-14:
Quelli sulla pietra sono coloro che, quando ascoltano, ricevono la Parola con gioia, ma non hanno radici; credono per un certo tempo, ma nel tempo della prova vengono meno. Quello caduto in mezzo ai rovi sono coloro che, dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano soffocare da preoccupazioni, ricchezze e piaceri della vita e non giungono a maturazione.
Il discepolo chiede di essere liberato da tutto questo. Non chiede di essere esente dalla tentazione, ma di essere aiutato a superarla.
Nell'ultima parte Gesù tra la conclusione:essere certi di essere esauditi perché Dio ascolta sempre, anche se a modo suo, ma sempre per il nostro bene. Ma Gesù ci dà una certezza: “Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!”



IL PADRE VOSTRO DEL CIELO DARA' LO SPIRITO SANTO A QUELLI CHE GLIELO CHIEDONO
Lo Spirito Santo che forse soltanto pochi lo chiedono è perché non lo conoscono... 

Mariella: non aggiungo altro a quanto detto dall'amico Enzo, vorrei piuttosto invitarvi a leggere il bellissimo commento di Padre Augusto nella pagina a Lui dedicata, mentre vi anticipo una piccola parte: 


Luca ci vuole sottolineare tre cose importanti.

La prima è che Gesù insegna a pregare pregando. La sua preghiera è attrattiva, irresistibile.
Stava parlando con il Padre suo: quindi tutto il suo spirito ed anche il suo corpo possedevano una luce ed un fuoco di amore. Affascinante Gesù quando prega! Tanto affascinate da indurre i discepoli a chiedergli di poter pregare come Lui prega.

La seconda cosa che Luca intende dirci è che desiderano una preghiera che sia anche la sintesi di tutto il Suo insegnamento.
"Insegnaci a pregare come anche Giovanni ha insegnato ai suoi", significa: "dacci la tua preghiera, dacci il tuo modo di pregare...".

Terza cosa che Luca vuol mettere in evidenza è che la preghiera che Gesù si accinge a donare ai suoi discepoli non è diversa dalla sua. Gesù infatti prega il Padre.
E la prima parola della preghiera è "Padre!"

Dunque la preghiera del Padre nostro non è solo un modello di preghiera, ma è soprattutto la stessa preghiera di Gesù, quella che Egli rivolge al Padre. Vorrei che capiste bene questo passaggio fratelli e sorelle! Noi, quando recitiamo il Padre nostro, non diciamo una formula devozionale di preghiera:
nello Spirito preghiamo "come" Gesù!
Come sarebbero diversi i nostri "Padre nostro" se pensassimo a questo aspetto.
Da gemere di gioia e allo stesso tempo tremare e far sussultare il cuore.
Osiamo dire..."


venerdì 15 luglio 2016

Il ricevere gli altri implica avere Dio con noi.



Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».
 
DOMENICA XVI DEL T.O ANNO C 



Dal Vangelo secondo Luca 10,38-42

Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò. Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi. Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t'importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c'è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».
Parola del Signore!
Luca ha collocato questo episodio subito dopo la parabola del samaritano per illustrare le due facce dell’unico comandamento: individuare in che cosa consiste l'amore per il prossimo e l'amore per Dio.
Possiamo individuare nell'amore per il prossimo il servizio e la carità, nei confronti di Dio l'ascolto e la missione di discepoli.

Lo spunto ce lo danno le due sorelle Marta e Maria che ospitano Gesù: Marta affannata per potere servire al meglio l'Ospite, vediamo invece Maria dedita ad ascoltare Gesù.

Le parole con le quali Gesù risponde a Marta ricordano che il servizio non deve assillare al punto da far dimenticare l’ascolto. Il servizio della tavola non è più importante dell’ascolto della Parola, come suggerisce anche un passo degli Atti degli Apostoli 6, 1-2: “In quei giorni, aumentando il numero dei discepoli, quelli di lingua greca mormorarono contro quelli di lingua ebraica perché, nell'assistenza quotidiana, venivano trascurate le loro vedove. Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: «Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense. 
 
Affannarsi e agitarsi è l’atteggiamento dei pagani, non perché è pagano l’oggetto della ricerca (in questo caso Dio e il prossimo), ma è pagano il modo di cercare: affannoso, inquieto, agitato. Forse è tutto questo che ci allontana oggi nel nostro mondo dall'amore per Dio...

La ragione di tanta agitazione sono le “troppe cose”, volere tutto e subito, non sapere più distinguere tra il troppo e l’essenziale, il secondario e il necessario. Il troppo è sempre a scapito dell’essenziale.
Le troppe cose impediscono non soltanto l’ascolto, ma anche il vero servizio. Fare molto è segno di amore, ma può anche far morire l’amore. L’ospitalità ha bisogno di compagnia, non soltanto di cose. Perfino il troppo “dare”, anche per amore, rischia di togliere spazio elle relazioni.

Anche l'ascolto può avere il rovescio della medaglia quando cerchiamo esclusivamente Dio, la sua parola, dimenticando le necessita del prossimo. Fede e opere non possono essere disgiunte come ci dice l'apostolo Giacomo nella sua lettera, 1,26-27 .“Se qualcuno ritiene di essere religioso, ma non frena la lingua e inganna così il suo cuore, la sua religione è vana. Religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo”. 
 
Non possiamo essere tutto Marta o tutto Maria. L'ospitalità data a Gesù da Marta è l'esempio concreto dell'amore verso il prossimo; il comportamento di Maria offre a Gesù l'opportunità di illustrare un'altra esigenza fondamentale per entrare nel Regno, l'ascolto della Parola. Lodevole il comportamento di Marta, ma guastato da una eccessiva agitazione; Maria aveva intuito l'importanza della visita di Gesù , il dono della sua parola, “la parte migliore” necessaria per potere amare il prossimo. La pratica del comandamento dell'amore scaturisce dall'ascolto della Parola, e come suggerisce l'apostolo Paolo nella prima lettura di questa domenica, dalla forza della Parola ci dà la forza e potenza: 
 
Per questo mi affatico e lotto, con la forza che viene da lui e che agisce in me con potenza”.
Mariella: Gesù sta percorrendo il suo viaggio verso Gerusalemme, per Lui non si tratta solo di uno spostamento, ma di un vero e proprio percorso esistenziale verso la radicalità del dono di sé. Durante tutto questo itinerario, Egli non perde occasione per approfondire i suoi insegnamenti, ed attraverso i diversi personaggi incontrati lungo il cammino, delinea i tratti essenziali del vero discepolo. Oggi l'occasione di riflessione ci viene offerta dall'incontro fra Gesù e le due sorelle di Lazzaro in un villaggio nei pressi di Betania.
Marta e Maria, fra loro sono diverse negli atteggiamenti e ancor più nel modo di vivere la spiritualità. Maria rappresenta uno stile di vita sobrio, essenziale, rivolto prima di tutto all'ascolto, all'interiorità, al silenzio, alla preghiera.

Marta viceversa è colei che si preoccupa delle cose da fare, continuamente in movimento, bada più all'esteriorità, è portata a criticare chi non agisce come lei, si affanna per cose materiali e finisce per trascurare l'essenziale della vita, ossia il rapporto con Dio e la misericordia verso il prossimo.

Qualcuno potrebbe obbiettare che domenica scorsa il Vangelo ci invitava all'azione, in questo brano Gesù ci spinge all'ascolto, come dobbiamo considerare i due diversi modi di concepire la sequela?
Ecco io credo che la risposta giusta sia racchiusa in questa espressione: “Quando inizi a pregare, la mano di Dio inizia ad operare...” e molto spesso lo fa attraverso di noi. Cioè, è la preghiera che ci apre all'azione, ci rende sensibili alle necessità degli altri, ci rende capaci d'interpretare la volontà di Dio, ci rende attenti nel discernimento fra il bene ed il male, ci rende consapevoli anche dei nostri limiti, ci spinge a domandare ciò che noi non possiamo ottenere con le nostre sole forze.

La preghiera è sostegno, sapienza, speranza, conforto, coraggio, senza di essa si corre senza una meta, si costruisce senza una base, si fatica senza una ricompensa. Mentre Marta si affanna e si agita senza assaporare la gioia vera dell'ospitalità “Maria si è scelta la parte migliore che non le sarà tolta!”

Gesù chiede a ciascuno di noi di essere ospitato nel nostro cuore, ci prega di farGli posto nella nostra esistenza, di darGli un po' del nostro tempo, della nostra attenzione. Ci chiede di sederci ai suoi piedi per ascoltare la sua Parola, assaporare il suo Amore, aprirci alla sua Misericordia; solo dopo esserci lasciati trasformare dalla sua Grazia sapremo renderci disponibili ad un servizio attento, generoso e disinteressato. Diversamente rischiamo di seguire l'andazzo generale, si corre, si tribola, si sprecano energie per cose inutili e passeggere, si arriva a sera svuotati di senso e di forze.

Lo Spirito Santo ci guidi a meditare bene questo brano evangelico, a non considerare più l'ascolto della Parola e la preghiera come una perdita di tempo.

Solo chi sa stare ai piedi di Gesù, può poi andare per il mondo a rendergli testimonianza.




Nella pagina di Padre Augusto Drago, per desidera approfondire, potrà leggere il suo bellissimo commento a questo brano evangelico





















venerdì 8 luglio 2016

Seguire le orme di Gesù è un imperativo per il credente




Hai risposto bene; fa' questo e vivrai”.

DOMENICA QUINDICESIMA DEL T.O – ANNO C 10 luglio



Dal Vangelo secondo Luca 10,25-37

Ed ecco, un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa' questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all'albergatore, dicendo: «Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno». Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va' e anche tu fa' così».


Parola del Signore!

Enzo: Questa domenica abbiamo un dottore della Legge che si interessa ai discorsi di Gesù ai suoi discepoli e va anche oltre, pensando all'aldilà: “Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”. Non so quanto interesse sincero ci fosse stato in questa domanda, se l'evangelista riferisce “ un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova”. Mi ricordano le tentazioni del deserto: “Non tenterai il Signore Dio tuo”.

La risposta di Gesù è un'altra domanda alla quale il dottore della legge risponde bene perché cita un testo del Deuteronomio (6,5) e un altro del Levitico (19,18): non poteva sbagliarsi: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso”.

Gesù approva: Hai risposto bene; fa' questo e vivrai”. Chi non rimarrebbe soddisfatto di una tale risposta? Non la male fede di chi fa il tentatore, il dottore della Legge che desidera che il concetto
di “prossimo” sia ulteriormente precisato perché vuole essere sicuro di ottenere la vita eterna: “E chi è mio prossimo?”

Gesù , con pazienza, mitezza e saggezza racconta una parabola, quella che tante volte abbiamo letto ascoltato, fatta nostra: quella del Buon Samaritano.
Nella parabola, un sacerdote e un levita, evitano di soccorrere il ferito, non tanto per durezza di cuore, quanto piuttosto per il desiderio di mantenere la propria purezza cultuale. Era infatti prescritto – ai sacerdoti che prestavano servizio al tempio – di mantenersi puri, e il sangue contaminava. 
 
Ma Gesù fa intendere che il culto non deve essere a scapito della carità e la purezza che Dio vuole è la purezza dal peccato, dall’ingiustizia, non dal sangue di un ferito. E’ chiaro che Gesù non intende negare il valore del culto e della preghiera, ma vuole semplicemente ricordare che occorre stare attenti che il culto non distragga dai doveri dell’amore e della giustizia.

Come modello Gesù non prende un fariseo osservante ma un samaritano disprezzato. Nella parabola nulla è detto del ferito: non viene evidenziata la sua identità, ma il suo bisogno. Il “prossimo” è qualsiasi bisognoso che ti capita di incontrare, anche uno sconosciuto. 
 
Questa universalità della nozione di prossimo ha il suo fondamento nell’intero vangelo e cioè nell’universalità dell’amore di Dio. Il problema non è tanto quello di chiedersi chi sia il mio prossimo, quanto piuttosto quello di farsi prossimo di chiunque si incontra sulla propria strada.

Il brano finisce così: Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va' e anche tu fa' così». Farà così ogni discepolo che vuol seguire le orme di Gesù: è un imperativo!

La nostra risposta al comando di Gesù «Va' e anche tu fa' così»?

Mariella: La prima cosa che mi viene in mente meditando questo brano evangelico è che saremo giudicati sull'amore. Un amore rivolto a Dio prima di tutto, ma che si misura con l'amore verso il prossimo, specialmente quello più bisognoso, immagine del Dio vivente. Un amore esigente, un amore non fatto di pochi spiccioli ma capace di gesti generosi, un amore che va oltre le apparenze, un amore che si lascia coinvolgere, capace di compassione, un amore urgente che non ammette rimandi, né ritardi.

Le persone da amare poi, non dobbiamo di certo andarle a cercare, la nostra quotidianità è fatta di episodi simili alla parabola raccontata da Gesù, certo sotto vesti diverse, occasioni diverse, esigenze diverse, ma persone ugualmente bisognose di attenzioni, di cure, di ascolto.

Sono uomini e donne che la vita ha scartato, gettato a terra, privato della dignità e del necessario per vivere e per sperare.

Sono i feriti della nostra società dello scarto: disperati di ogni genere, malati nel corpo e nello spirito, immigrati, disoccupati, drogati, alienati, emarginati che attendono una parola che li risani.

Sono davvero tanti e molto spesso preferiremmo non trovarli sul nostro cammino.  Amare in molti casi non è facile e neppure comodo, significa mettersi a disposizione dell'altro, accoglierlo, capirlo, spendere tempo, dargli stima, fiducia, aiutarlo a risolvere le sue difficoltà e adoperarsi nel limite del possibile. Il prossimo spesso si trova fra le persone più scomode, inopportune, sgradevoli, là dove è difficile scorgere il volto di Dio.

Eppure se ci rendiamo conto di quanto importante sia l'insegnamento che Gesù ci ha dato, potremo veramente capire che l'unica strada per raggiungere la vita eterna è quella di seguirLo in tutto e per tutto. Amare chi ci piace, chi ci ricompensa e ci gratifica, amare chi è bello, intelligente, buono è facile, ma non sufficiente!  

Dio ama tutti, nessuno escluso e ci chiede uno sforzo in più per imitarlo sulla via dell'Amore. 

 Si comunica a tutti coloro che ricevono il commento ogni settimana che non sarà inviato per questo periodo di vacanze. Cercatelo nel blog consueto: allasorgentedellaparola.blogspot.it
Se volete e potete "passa parola". Grazie!!

Per chi desiderasse leggere il commento di Padre Augsto Drago su questo brano evangelico lo può trovare nella sezione a lui dedicata.

venerdì 1 luglio 2016

I settantadue tornarono pieni di gioia...la forza della sequela


Rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».

Domenica quattordicesima del tempo ordinario – Anno C



Dal vangelo secondo Luca 10, 1-12.17-20

Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: «Pace a questa casa! Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all'altra. Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: «È vicino a voi il regno di Dio». Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: «Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino». Io vi dico che, in quel giorno, Sodoma sarà trattata meno duramente di quella città.

I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demoni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demoni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».




Parola del Signore!

Enzo: Questo brano, se escludiamo l'invio in missione dei dodici apostoli, è riportato solo dall'evangelista Luca che, rifacendosi alla fonte Q con l'invio dei 72 discepoli prelude alla missione universale della Chiesa.
Gesù affida a 72 discepoli la missione di annunciarlo in ogni città e luogo dove stava per recarsi”, missione dunque che dimostra che non è affidata unicamente allo stretto gruppo degli apostoli, ma anche alla cerchia più vasta dei discepoli. Non solo dunque ai Pastori della Chiesa ma per vocazione ad ogni battezzato e deve estendersi a tutta la terra. Il numero settantadue richiama la tradizione giudaica che riteneva che le nazioni della terra fossero settantadue, e Gesù invia i discepoli “due a due” per indicare l'ufficialità della missione, perché la Legge per la validità di una deposizione in tribunale richiedeva la presenza di due o tre testimoni.

Andate”: Gesù dà un incarico che si deve portare a compimento con fedeltà nonostante le fatiche del viaggio e il probabile rifiuto delle genti.
Andate”: non sono i popoli che devono incamminarsi verso i discepoli, ma i discepoli che devono andare, correre verso i popoli. Gesù vuole i suoi discepoli sulla strada (ricordiamo le esortazioni di Papa Francesco ai sacerdoti, diaconi ecc.).

Gesù indica minuziosamente i comportamenti e i sentimenti dei suoi missionari:
  • La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!” C'è molto da fare: da qui la necessità della preghiera per l'invio di molti altri operai e per l'esito positivo della missione, accompagnati sempre dalla grazia divina.
  • ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada”.
    Prerogative indispensabili sono la povertà perché la purezza del vangelo sia evidente e il loro modo di vivere sia credibile; non perdere tempo in conversazioni inutili, ma concentrasi sull'essenziale.
  • vi mando come agnelli in mezzo a lupi”: Gesù richiede la consapevolezza e l'accettazione di certe situazioni avverse. Lo scontro col mondo non sarà semplice, il discepolo, ogni cristiano, deve avere la fede nella Parola che annuncia , in Gesù, manifestare la forza di Dio che può apparire nascosta.
  • In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa!. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi”.Sono le norme dell'alloggio che iniziano con il saluto “pace”, inteso in senso messianico, non profano. La pace offerta nel nome di Gesù racchiude ogni bene, il dono del regno e la salvezza escatologica per tutti i figli della pace.



  • Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all'altra”. Viene abrogata la distinzione mosaica tra cibi puri e cibi impuri trattandosi di una disposizione necessaria per la missione in terra pagana; accettare l'ospitalità senza esigenze particolari; infine non passare di casa in casa per una sistemazione migliore.
  • guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: «È vicino a voi il regno di Dio». Provo in questo momento un senso di speranza e di gioia che penso sarà stato anche dei discepoli: è la scelta di ogni discepolo il fare del bene ai fratelli e annunciare il Regno di Dio, la nostra missione cristiana.
  • Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: «Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Sono due situazioni che riflettono le molteplici esperienze di ostilità e di rifiuto fatte dalle comunità missionarie nelle città giudaiche prima e in quelle pagane poi. Né il successo né il fallimento possono trattenere l'inviato del Signore che annuncia il regno di Dio. Anche Gesù fu respinto dai suoi e dai samaritani. L'espressione “scuotere la polvere” indica l'ultimo appello per coloro che rifiutano l'annuncio salvifico, equivale ad un gesto profetico che indica la rottura di ogni rapporto con Dio e la condanna irrevocabile nel giorno del giudizio.
La seconda parte del brano: tornano i discepoli e fanno rapporto del viaggio. Luca scrive: I settantadue tornarono pieni di gioia: Mi ha fatto gioire sempre questa frase, essere pieni di gioia per avere eseguito un mandato, per aver annunciato il Regno promesso, consapevoli di avere ricevuto una grande grazia, quella di avere collaborato col Maestro che ci dà sempre il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico.

Gesù esorta i discepoli a rallegrarsi soprattutto per la partecipazione alla vita eterna che avrebbero conseguito quali suoi collaboratori più che per il potere di avere schiacciato i demoni e le opere realizzate, e aggiunge:

rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».

Mariella: Un Vangelo bello, il mandato che Gesù affida ai suoi discepoli. Bello questo andare per il mondo, che poi sono anche le strade di casa nostra, a portare la Buona Novella; ma tuttavia può risultare terribile il rifiuto che si può incontrare.

Viene da chiedersi se oggi portare il Vangelo alla gente sia ancora attuale, o se l'interesse per le cose del mondo abbia sostituito l'interesse verso la Parola di Dio. Il rifiuto che Gesù anticipa è quanto mai realtà attuale ai nostri giorni.

Eppure non conoscere la Parola porta alla conseguenza di non poterla vivere. E allora su quale parola si fonderà la nostra vita? Su parole prive di senso e di sostanza? Su parole d'interesse personale e di speculazione? Su Parole ingannevoli e ambigue?
Su quali basi potremo impostare la nostra vita se non avremo nel cuore regole certe che conducono ad una vita onesta e costruttiva secondo la volontà del Padre?

Di fronte alla povertà morale di questo mondo, di fronte ai tanti fallimenti esistenziali dei giorni nostri, di fronte alle tante violenze che si perpetuano nella nostra società e perfino nelle nostre stesse famiglie, viene da chiedersi se non sarebbe il caso di spendere più energie e risorse per portare al cuore della gente la Parola che salva, che libera, che guarisce!

'La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai. Pregate dunque il signore della messe perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo ai lupi'.
Il compito missionario, oggi come ieri, non è affidato ad un'élite come poteva sembrare quando mandò i settantadue, ma riguarda una moltitudine di persone, compresi noi, che, ricevendo il dono dello Spirito Santo, sono lievito che fermenta, luce che allontana le tenebre e sale che dà sapore alla vita.

Il discepolo è dunque un precursore di Gesù, sullo stile di Giovanni Battista, apre la strada al Signore che viene ed è pronto a farsi da parte non appena i destinatari della sua missione si incontrano col vero ed unico Maestro, Gesù.

Il lavoro è molto, Gesù sa bene che l'impegno è gravoso, difficile, rischioso, delicato e indica loro gli impegni che dovranno affrontare. Egli parla in immagini, ma il suo insegnamento è chiaro, il discepolo dev'essere simile a Lui, povero di beni materiali, ma con una grande ricchezza spirituale, perché racchiude il messaggio di salvezza da portare al mondo.
Il suo è un compito urgente, non c'è tempo da perdere, infatti il mondo ha urgente bisogno di conoscere la verità che porta alla salvezza!

Il discepolo, oltre alla salvezza porta la pace, quella stessa pace che ha ricevuto da Cristo risorto, quella pace che giunge a noi tutti grazie al perdono dei peccati, alla riconciliazione col Padre, quella pace che l'Amore di Dio non fa mancare a quanti sapranno riconoscerLo.

Oltre all'annuncio della Parola non possono mancare le opere, soprattutto verso i più deboli, verso gli ammalati, verso i posseduti, verso gli esclusi, per dimostrare che il Signore viene per tutti e non esclude nessuno.
Certamente la gioia che se ne ricava è grande, pari a quella che provarono i discepoli di Gesù, ripaga di tutte le fatiche, umiliazioni, delusioni, persecuzioni.

Lasciamoci dunque sospingere dalla forza operante dello Spirito Santo!



Aggiungo un commento di Padre Augusto inviatomi da Mariella:


Fratelli e sorelle, domani celebreremo la festa dell'evangelista Luca. Il suo Vangelo è quello che stiamo meditando in questo periodo dell'anno liturgico
Mi sembra cosa utile, prima di cominciare la riflessione sul brano del vangelo, presentare una breve scheda del nostro evangelista.
Luca è autore del terzo vangelo e del libro degli Atti degli apostoli. Tra gli evangelisti è l'unico di origini non ebraiche. Probabilmente è nato ad Alessandria di Egitto.
Convertito al cristianesimo, si aggregò a Paolo di Tarso per annunciare il vangelo ai pagani.
Il vangelo da lui scritto è rivolto, proprio per questo, ai cristiani che provenivano dal mondo ellenistico.
Luca si distingue nel suo Vangelo soprattutto nel presentarci la misericordia di Dio che è apparsa in Cristo Gesù. Annuncia l'universalità della salvezza. Predilige i poveri e gli indifesi, mette in evidenza come l'attenzione di Gesù sia particolarmente rivolta ai poveri e agli ammalati. Per questo Dante lo definisce come lo scriba mansuetudinis Christi, cioè scrittore e narratore della misericordia di Cristo.
Seguì Paolo soprattutto nel suo viaggio a Roma. Non si conosce né quanto sia morto né come.

Ed ora ci accingiamo a riflettere sulla pagina del Vangelo.
Ci viene narrata la missione dei settantadue discepoli che sono deputati a preannunciare, con la loro parola, la venuta del Signore nelle varie città o paesi dove Egli si recherà.
Leggiamo e meditiamo il brano.

Prima di tutto la missione. Gesù manda i discepoli nei luoghi dove Egli voleva andare.
Il discepolo è il portavoce di Gesù. Non è il depositario della buona novella.
Gesù li manda a due a due. Perché?
Non solo e non tanto perchè mentre uno dei due annuncia l'altro e fà testimonianza, ma anche e soprattutto perché nel loro essere due significhino che non si annuncia mai da soli.
L'annuncio è comunitario: è qualcosa che nativamente appartiene alla comunità ecclesiale.
Ciò, tra l'altro, favorisce l'aiuto reciproco.

Poi c'è la corresponsabilità:
Infatti il primo compito è pregare affinché Dio mandi operai alla sua messe.
Tutti i discepoli e le discepole devono sentirsi responsabili della missione.
Per questo devono pregare il Padre per la continuità della missione.
Gesù manda i suoi discepoli come agnelli in mezzo ai lupi! Un'immagine potente e forte!
La missione è un compito non facile e spesso anche pericoloso.
Ieri come oggi. I lupi di oggi sono rappresentati dal relativismo etico ed intellettuale,
dai lupi che sono gli amanti di mammona, dai lupi amanti del lusso, e perciò egoisti, tanto da azzannare il povero succhiandone il sangue!

Ci sono poi i lupi che vogliono perseguitare, e di fatti perseguitano, l'annuncio del Vangelo e dei suoi annunciatori: o per motivi ideologici, o per odio, o perché si sentono minacciati dalla Parola.
Il discepolo deve abituarsi a camminare in mezzo ai lupi. Proprio lui che è la pecora che appartiene al recinto del Bel Pastore che è Cristo Gesù. Ma non deve avere paura! La fede è il suo punto di forza.
C'è ancora l'ospitalità: al contrario di altri missionari, i discepoli e le discepole di Gesù non devono portare nulla; né bisaccia per conservare il cibo, né sandali, nè borsa dove riporre il denaro.
Devono essere semplicemente portatori di pace!
In qualunque casa entreranno saluteranno così, semplicemente: "Pace a questa casa". Portatori di pace, senza nessun'altra cosa, perchè imparino ad avere fiducia nella Provvidenza.

Poi c'è la condivisione: I discepoli non devono salutare nessuno lungo la strada: non c'è infatti tempo da perdere nelle convenienze umane. Il Vangelo non è fatto di convenienze, ma di amore.
Inoltre non devono andare di casa in casa.
Devono, cioè rimanere nella stessa casa, condividendo in modo stabile ciò che avviene in quella medesima casa: lavoro, fatica, stare insieme: è una metodologia di annuncio fatta di gesti concreti. La condivisione è il primo e quindi il fondamentale modo di mostrare che cosa sia l'Amore. La comunione avviene in modo particolare attorno al tavolo.

Se i farisei e i dottori della legge, quando andavano in missione, si portavano appresso il cibo da consumare, per paura di ricevere dagli altri un cibo impuro, Gesù invece ordina di mangiare tutto quello che anche gli altri della casa mangiano!
Non c'è nulla di impuro quando si condivide nell'Amore fraterno. L'Amore diventa così il primo fondamentale annuncio.

Un Amore vero apportatore di pace!
I discepoli devono accogliere soprattutto gli esclusi.
Infatti devono occuparsi degli ammalati, curare i lebbrosi, e scacciare i demoni.
Tutte categorie di persone, queste, che erano bandite dal pubblico consorzio umano! Ai poveri infatti è dato il lieto annuncio. Questo significa una cosa molto importante per noi: occorre accogliere nelle nostre comunità ecclesiali, con tutto l'onore possibile, coloro che sono stati esclusi da tutti.

Quale missione veramente grande! Ma come spesso è così facilmente disattesa! Si và in cerca di accogliere persone importanti che possano dare lustro e visibilità alla nostra comunità ecclesiale!
Come se ci dovessimo fare propaganda, vantandoci che abbiamo accolto il tale o il tal altro di persona qualificata ed importante.

Vergogna a noi! Abbiamo capovolto il senso del vangelo: quello più vero, quello più santo, quello in cui si può verificare fino a che punto abbiamo capito Gesù e la sua Parola! L'ospitalità, la condivisione, la comunione, l'accoglienza degli esclusi e degli ultimi, sono i pilastri che sostengono la vita della comunità ecclesiale!

Mi ricordo che una volta, guardando una trasmissione televisiva, un giornalista chiedeva ad una persona se fosse cristiana.
"Sono cristiano" rispose l'uomo, cerco di vivere il vangelo, ma non partecipo alla comunità della Chiesa.
E il giornalista di rimando: "Allora lei si considera un giocatore di calcio, senza una squadra?" Ci vogliamo chiedere spietatamente: "E' forse il mio caso?"