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venerdì 14 novembre 2014

La parabola ha la scopo di far comprendere il vero rapporto tra Dio e l’uomo




Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra…

Domenica XXXIII del tempo ordinario:16 novembre 2014



Dal vangelo di Matteo 25,14-30

Avverrà infatti come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni.

A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque.

Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due.

Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.

Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.

Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”.

 “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”.

 “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere

su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso.

Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.

Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e

raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti.

Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha.

E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.


Parola del Signore!


Enzo: L’anno liturgico 2013-2014 volge al termine, e la liturgia di domenica ci invita a riflettere ancora una volta sul nostro comportamento di discepoli in attesa della seconda venuta di Gesù, venuta di cui non conosciamo né il momento né l’ora. Quell’ora sarà anche il tempo della raccolta, il tempo del giudizio, il momento dell’ingresso da parte di coloro che nell’attesa del Figlio dell’uomo sono stati attenti e premurosi nell’accogliere l’annuncio del Regno dei cieli, nel testimoniarlo, nel farlo fruttificare, crescere, espandere.

I talenti di cui si parla nella parabola non sono le doti o qualità naturali che ognuno può avere, ma il dono gratuito della vita che non deve rimanere isolata, nascosta, magari con la paura di perderla di fronte ai tanti pericoli che ci circondano, un dono prezioso da curare, e da donare a sua volta.



La parabola di oggi riguarda tutti i cristiani, discepoli di Gesù: tutti abbiamo ricevuto col battesimo il dono del Regno da annunciare, far crescere, e in modo particolare riguarda tutti coloro che avendo avuto una chiamata speciale hanno la responsabilità di predicare, annunciare, accompagnare, guidare, mantenere vivo l’annuncio evangelico,  far crescere il gregge loro affidato.



La chiave dell’intera parabola è il dialogo fra il servo “malvagio, pigro” e il padrone. Se il Padrone, Gesù che verrà, è concepito come un padrone duro, severo, da temere, “che miete dove non ha seminato e raccoglie dove non ha sparso”,  ci sarà posto soltanto per la paura e la scrupolosa osservanza della legge, dei precetti. Non si vogliono correre rischi, ci si vuole mettere al sicuro, tenere nascosto il dono ricevuto gratuitamente per renderlo così come è stato ricevuto.

Non è questo ciò che vuole il Signore!



Il dono di Dio è sempre in funzione non solo di se stessi ma anche dei fratelli. Il dono di Dio è luce che deve illuminare, lampada da alimentare, pane da distribuire, fratello da perdonare, lavoro da retribuire, acqua che deve dissetare, malati da curare, anziani da assistere , annuncio da testimoniare. Non è solo questione di giustizia, di parità, ma di Amore, un amore dinamico.

La parabola ci indica il vero rapporto che deve avvicinare l’uomo a Dio. Siamo cristiani che non cercano soltanto rifugio e sicurezza in Dio solo osservando i comandamenti, la legge, ( questi erano i farisei), ma cristiani che vivono in un rapporto di amore, di coraggio, generosità.



La parabola  ha la scopo di fa comprendere il vero rapporto tra Dio e l’uomo: Dio è un padrone buono , si accontenta di quel poco che riusciamo a fare, accoglie sempre premiando la nostra buona volontà: ““Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”. Dio non vuole che restituiamo i suoi doni, vuole che li utilizziamo per il bene nostro e del prossimo: Dio premia anche il poco dandoci “potere su molto”  facendoci parte della sua gioia.



Sappiamo come i primi cristiani credevano imminente il ritorno di Gesù. Matteo raccoglie la parabola, la rielabora inserendola nel discorso escatologico, invitando alla vigilanza, come nella parabola delle dieci vergini: “Vegliate dunque perché non sapete né il giorno, né l’ora”.

“Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà” (Mt 24,42).



Vigilare dunque, vegliare: vuol dire superare il timore servile, la paura del castigo, la concezione farisaica del dovere religioso, il rispetto umano che frena le nostre decisioni in atti concreti, generosi, coraggiosi perché siamo coscienti che lavoriamo per un Padrone-Signore che paga sempre bene, anche se arriviamo per lavorare nella sua vigna all’ultima ora.



Il Signore a tutti dona dei talenti e non solo ad alcuni, Dio chiama tutti a lavorare nella sua vigna, a lavorare non a guardare gli altri che lavorano. Dobbiamo accostarci agli altri e lavorare insieme, ognuno con le proprie forze, le proprie capacità fisiche, intellettuali e ancora quella di rischiare sapendo che il suo aiuto non mancherà se richiesto.



Il Signore mette paura? Lo pensiamo o siamo noi paurosi? “Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra”. Paura spesso è sinonimo di timidezza, pigrizia, scusa per non prendersi responsabilità: così teniamo nascosti i doni che abbiamo ricevuto, ignorando che sono doni consegnati a noi per arricchirci e arricchire gli altri. Dio premierà anche i rischi  che corriamo anche quando falliamo, Dio non ci vuole inerti, è lì che ci guarda e ci esorta sempre a cercare il bene, fare il bene, a rischiare per Lui.


“I talenti della parabola, sono la misura del nostro coraggio, della nostra disponibilità ad agire secondo l’amore”. (Giancarlo Maria Bregantini, Parole condivise, Fondazione talenti).

Mariella: In questo brano ci son diversi punti sui quali riflettere, forse già li hai messi tu in evidenza.


Prima cosa: i talenti sono stati dati a tutti e non solo ad alcuni, si legge infatti: “chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni” quindi è nostro preciso dovere accogliere i talenti a noi affidati, ma anche saper riconoscere i talenti che son stati affidati agli altri, questo significa anche saperli valorizzare e non esserne invidiosi.


Seconda cosa: abbiamo una grande responsabilità, quella di saper rischiare per far fruttare i talenti, ci viene chiesto di non nasconderli, ma di metterli in gioco, affinché possano servire al bene comune
.

Terza cosa: non possiamo e non dobbiamo aver paura, il Signore si fida di noi e ci affida il suo Regno, non possiamo illuderci di amare senza rischiare! Il rischio fa parte della vita e si affronta ben sapendo che il Padrone è comprensivo, misericordioso, lento all’ira e ricco di grazia. Accetta anche i nostri fallimenti, se vissuti con l’animo dei servi fedeli.


Chi non rischia è perché non ha conosciuto il vero Amore, quello che si dona gratuitamente, quello che si dona sempre senza attendere ricompense. 
Ci viene da chiederci quante volte siamo stati delusi dagli altri e per questo motivo abbiamo deciso di chiuderci in noi stessi e non amare, non aiutare più? Anche le nostre stesse comunità parrocchiali quanto sono aperte all’accoglienza?


Quarta cosa: Il Signore valuta sempre le nostre capacità e si regola di conseguenza, ha fiducia ma non s’illude, calcola le nostre forze prima di affidare i talenti, guarda bene in faccia prima di affidare il denaro al suo servo, ma è generoso oltremisura, chiama i servi fedeli alla sua stessa gioia, l’amore infatti si condivide, i servi non sono schiavi ma amministratori che prenderanno parte al Banchetto eterno.


Ultima cosa: abbiamo letto: “Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro”  Non dimentichiamoci: il Signore torna, torna sempre e ci chiede conto di ciò che abbiamo fatto dei talenti ricevuti, a Lui si deve rendere conto di tutto ciò che abbiamo ricevuto. Ognuno di noi deve essere un dono per gli altri, solo così potrà realizzarsi la provvidenza divina.

Il Signore verrà e ci renderà conto di ogni minuto, sprecato nell’ozio e nell’indifferenza, tutto sarà scritto sul libro della nostra vita, la mediocrità nella quale abbiamo vissuto, l’invidia e la maldicenza fonte di dissapori e rancori, l’egoismo nel quale ci siamo chiusi all’amore..  Ci doni il Signore la forza di esserGli fedeli  sempre. Amen

.

Mariella: Questo brano è bellissimo ed è un metro sul quale misurare tutta la nostra vita e

ci aiuta a non restare nella penombra, ma a buttarci nella luce, quella che porta diretti verso Dio


Enzo: La prima impressione quando lessi il brano mi ricordai dell'altra parabola,del padrone della vigna che va in piazza a chiamare degli operai. Va diverse volte e a ore diverse.
Alla fine dà a tutti la stessa paga. Agli  operai che si lamentavano dice di essere "Buono".

Qui è diverso, assistiamo allo stesso "padrone" che premia e castiga.

Questo mi ha impressionato subito, ma mi ha fatto pensare alla tiepidezza che mettiamo noi cristiani nel vivere il nostro discepolato cristiano, la trascuratezza nel nostro operare e testimoniare.

Poi pensai al Maestro Buono: e le sue parole ebbero un tono diverso. Perché siamo noi cattivi, presuntuosi quando abbiamo un maestro buono che ci tratta tutti allo stesso modo? Ci ha chiamati amici rendendoci figli dello stesso Padre celeste.

Ci salverà una fede cieca in lui, la speranza che quanto ci ha lasciato si avveri, l'amore con cui abbracceremo il vangelo e il prossimo.

Mariella: Il Signore in fondo ci chiede di essere anche noi altrettanto generosi e buoni con i nostri fratelli, dobbiamo imitarlo nel nostro faticoso cammino di vita.




Nella pagina PREGHIERE abbiamo inserito due preghiere che potrebbero completare questa riflessione 

-        Tu che ci ami per primo  di Soren Kierkegaard

-   Donaci intelligenza  di Tonino Lasconi,

 

2 commenti:

  1. da un'udienza generale di Papa Francesco: “L’attesa del ritorno del Signore è il tempo dell’azione: noi siamo nel tempo dell’azione, il tempo in cui mettere a frutto i doni di Dio non per noi stessi, ma per Lui, per la Chiesa, per gli altri, il tempo in cui cercare sempre di far crescere il bene nel mondo. E in particolare, in questo tempo di crisi, oggi, è importante non chiudersi in se stessi, sotterrando il proprio talento, le proprie ricchezze spirituali, intellettuali, materiali, tutto quello che il Signore ci ha dato, ma aprirsi, essere solidali, essere attenti all’altro”.

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  2. Pervenuti tramite web, facebook

    • Maria Gubello: Nella parabola di oggi ciò che unifica il quadro non e tanto il dialogo tra padrone e i due primi servitori quanto il dialogo serrato tra il servitore condannato per la sua pigrizia e il padrone che esige una giustificazione .La prudenza richiede anche il calcolo del rischio .Il servitore si crede nel giusto e non osa rischiare quando seppellisce il talento ricevuto per poterlo restituire intatto, si difende con gli altri operai .La parabola esige una vigilanza Non e' degna del suo Signore : Quella comunità cristiana o membro di essa , che per paura di compromettersi nel contatto con gli uomini e con i loro problemi quotidiani ,si aliena dalle realtà di questo mondo . Una comunità / e ogni individuo in essa/ deve sentire la corresponsabilità nel far crescere il Regno , deve fruttificare se non vuole subire la condanna .Lo Spirito di Dio ci spinge a divenire uomini nuovi , cioè uomini che malgrado contraccolpi e opposizioni continuano a edificare con amore un avvenire più bello


    Vincenza Damiano: Nella parabola il Padrone distribuisce a tutti i servitori , ma il terzo seppellisce ovvero nasconde il talento ricevuto cioè non dona ad altri la parola ricevuta quindi non ne fa partecipi neanche ad altri e quando il Padrone ne chiede conto lui è come se avesse nascosto la Parola a sè stesso ed agli altri e non ne ha fatto aumentare il valore seppellendola nei reconditi del suo essere

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