BENVENUTO



B E N V E N U T O !! Lo Spirito Santo illumini la tua mente, fortifichi la tua fede.


giovedì 24 ottobre 2013

Io non sono come gli altri uomini...




Parabola del Fariseo e del pubblicano
Domenica 27 Ottobre 2013-10-19



Dal Vangelo secondo Luca 18,9-14 : non sono come gli altri uomini…

Disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di
essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare:
uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé:
 “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri,
e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le
decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza,
non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
 Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

PAROLA DEL SIGNORE!

Enzo: Chissà quante volte abbiamo letto o ascoltato questo brano, tanto da saperlo quasi a memoria.

Gesù racconta una parabola, un esempio per fare capire l’atteggiamento da tenere nella preghiera. Gesù non ci carica sulle spalle tutto in una volta: sapientemente ci ha insegnato cos’è la preghiera, come pregare. Con questa parabola faremo nostro l’atteggiamento da tenere durante la preghiera.

Ma ciò che colpisce che ancora, dopo tanti anni, dobbiamo riconoscere che non abbiamo fatto nostri i suggerimenti di Gesù.


Pessimismo?...No.

La debolezza umana è sempre presente in noi come presente è l’infinita misericordia di Dio. Debolezza e misericordia che dobbiamo riconoscere: (debolezza nostra) e ad essa ricorrere (misericordia divina) per progredire nella nostra vita di preghiera.


Non dobbiamo fare nostra la convinzione dei farisei di essere persone giuste: è una pretesa che ci spinge ad essere giudici degli altri, a santificarci da soli, rifiutando inconsapevolmente la giustificazione divina, adottando un atteggiamento farisaico, vivendo una religiosità distorta.


Il fariseo, il giusto!  non è giustificato perché a forza di osservare la legge alla lettera e anche più, ha trascurato il comandamento più importante quello di amare Dio e il prossimo.

Gesù porta come esempio il pubblicano per ribadire che la giustificazione è un dono gratuito che solo Dio può dare., “ Io vi dico…”, Dio che vede nei cuori esalta l’umile e umilia, condanna il superbo.

Dal cuore umile, che sa riconoscere le proprie debolezze, scaturisce  la vera preghiera che giustifica,  rende giusti dinanzi a Dio dando la forza per rovesciare la situazione di peccatori e cambiare strada.


La preghiera che nasce dalla nostra debolezza diventa contemporaneamente forza che ci distoglie dalle tentazioni terrene e ci avvicina sempre di più a Dio e ai fratelli. Il fariseo e il pubblicano della parabola erano  vicini , tutti e due nel tempio, tutti e due pregavano, ma non facevano comunione:c’era disprezzo e presunzione nel primo e nel secondo una sincera preghiera personale, umile, desiderosa di cambiare vita.


Credo che al Signore piacerebbe se noi ogni volta che preghiamo ci ricordassimo di parlargli del nostro prossimo…. Ma non come il fariseo che voleva essere premiato, non come il pubblicano che pensava soltanto di essere perdonato…

Ecco perché Gesù ci ha insegnato a dire: Padre nostro…E’ una preghiera tutta al plurale…che ci impegna in prima persona.


Mariella:Anche in questa domenica la Parola di Dio ritorna sul tema della preghiera.

Domenica scorsa Gesù sottolineava due caratteristiche  essenziali della preghiera: la perseveranza e la fiducia. Oggi mette in luce un'altra indispensabile caratteristica: l'umiltà.

Infatti qual è la condizione necessaria perché la preghiera arrivi a destinazione? Solo l'umiltà fa sì che la preghiera oltrepassi le nubi e apra le porte del Cielo.

Per mettere a fuoco l’atteggiamento giusto col quale rivolgersi a Dio ed esaminare invece la posizione sbagliata da non imitare assolutamente, Gesù  ci mette di fronte  due differenti personaggi, il fariseo ed il pubblicano, molto diversi fra loro.



Il fariseo appartiene alla categoria più stimata ed influente, è un osservante scrupoloso della Legge, per questo viene considerato dalla pubblica opinione un modello di perfezione religiosa.

Incontrerebbe anche lui lo sguardo del Signore se solo sapesse chinarsi quel tanto che basta per riuscire a battersi il petto: allora diminuirebbe il suo "io" e forse vedrebbe Dio,

ma il suo sguardo è “oltre”, guarda sempre troppo avanti, sta troppo dritto, è troppo sicuro di sé!



Dall'altra parte il pubblicano, cioè un esattore delle tasse, appartenente alla categoria di uomini considerati strozzini, odiati da tutti e ritenuti pubblici peccatori perché sfruttavano la loro posizione sociale a proprio vantaggio.

A differenza del fariseo, lui sa di non meritare il primo posto di fronte a Dio, resta in fondo, non ha nulla di buono da presentare a Dio e neppure pensa a confrontarsi con altri, come fa il fariseo

Sa che la sua posizione è di un'estrema gravità s’inchina umilmente, si apre al Signore dando libero sfogo alla sua pena interiore, riesce solo a dire: "Pietà di me, peccatore".



Scopre che la sua supplica incontra l'amore di un Padre che si china su di lui e lo perdona.

Il pubblicano diventa esempio del vero credente, che non confida in sé, ma in Dio soltanto.



La conclusione "Chi si esalta sarà umiliato  e chi si umilia sarà esaltato" riprende l'affermazione, più volte ripetuta nel Vangelo, che l'umiltà tocca il cuore di Dio.

Come giustamente diceva Enzo sono tante le forme di fariseismo che minacciano la vita del cristiano e sulle quali dobbiamo vigilare:

il volere apparire più che di essere,

il  partecipare assiduamente al culto senza che questo però cambi il cuore e incida sul modo di vivere e agire,

il ritenersi autosufficienti e non invocare l’aiuto e la guida del Signore,

il ritenersi persone per bene che non hanno nulla da rimproverarsi rinunciando a quel minimo di inquietudine che ti costringe a pesare la propria miseria…



L’elenco potrebbe continuare all’infinito!

È una grazia saper riconoscere le contraddizioni ed i limiti della nostra umanità e permettere al pubblicano che è in noi, di rivolgere al Signore la sua invocazione sincera, umile e fiduciosa

Proviamo a chiederci: Gesù, guardando il mio modo di pregare, di pensare e di agire, mi collocherebbe nella categoria rappresentata a livello spirituale dal pubblicano o in quella rappresentata dal fariseo?




Annamaria: Mi è piaciuto un passaggio di mariella quando dice: “il ritenersi persone per bene che non hanno nulla da rimproverarsi rinunciando a quel minimo di inquietudine che ti costringe a pesare la propria miseria…l’elenco potrebbe continuare all’infinito!”

Intendo in particolare la “propria miseria” che tradurrei con la povertà.

Cioè non solo quella materiale ma soprattutto quella che ci dà la possibilità e la consapevolezza di essere dei salvati.

Il pubblicano è consapevole della sua "povertà": ed è questa consapevolezza che gli fa sgorgare dal cuore "O Dio abbi pietà di me...." ecco che allora entra in comunione col Signore e con la Sua Grazia.

Questa è l'inquietudine che ci  dovrebbe essere compagna di vita.


Giuseppe: Sedevo, ieri l’altro in fondo alla mia chiesa, nella penombra. Tutto era pronto per un funerale. E io meditavo sul vangelo di domenica prossima e mi chiedevo: Sono io abbastanza pubblicano per essere gradito al mio Signore?

Perché io credo che è solo  nell’intimità più nascosta e sincera che noi possiamo trovare la risposta.



Oh mio Dio io sono peccatore e mi pento, io sono nulla rispetto al Tutto che sei tu. Ciò che dico, avvolto nella penombra  del tempio sacro, è un silenzioso dialogo formale?

Oppure il mio pentirmi è così forte e reale da coinvolgermi profondamente, da farmi cambiare strada, da accettare pure l’ironia del prossimo per amore del mio Signore? E provo amarezza, solitudine antica, ormai.

E mi ritrovo a giudicarmi, a definire la mia una fede imperfetta. So bene chi io sia, purtroppo, io che trovo sempre il sistema più comodo, lo vedo davanti agli occhi che faticano ad aprirsi a Dio.



Questa pagina del vangelo devo meditarla più spesso, non basterà nemmeno impararla a memoria perché prevede un mio diverso modo di agire e di pormi davanti al mondo, senza mai giudicare ma sempre operare secondo i consigli che segretamente il Signore ci sussurra continuamente alle orecchie dell’anima.



 E penso alla famiglia che Dio mi ha dato e continua ancora nella mia unica figlia rimasta.  Avrò insegnato un po’ di umiltà, sono stato io capace di far vivere nella mia famiglia la gioia semplice, quella che dona il Signore?

Quanti pensieri, quanti problemi ci poniamo noi, Gesù!

E non la smettiamo, mai contenti di ciò che abbiamo fatto perché moltissimo abbiamo ricevuto gratuitamente da Te!

Hai ragione dolce amica Teresa che in Avila vivesti accanto al tuo Sposo: “Solo Dios basta!”  Già, solo Dio, ma quanto è difficile!


Anna: Il Brano del Vangelo di stasera  di Luca  ci  immerge nella realtà di Gesù : tre parole mi fanno capire come ogni uomo per Essere Figlio di Dio ha bisogno di rivedere e cambiare il suo modo di vivere ,  tutto il suo essere, se desidera stare con  Gesù ed essere suo discepolo :

Io – tu – peccato... tre  paroline che cambiano la nostra vita .



Rifletto e penso alla  vita di tutti i giorni , nel nostro parlare , nei nostri atteggiamenti: quante volte iniziamo col dire …<< Io ho fatto – io dico – io decido – io sono – io  ho pensato  ….. e nel nostro discorso vogliamo vincere la partita con chi ci ascolta … io ho sempre ragione …io faccio così senza nemmeno  interpellare l’altro, senza neppure saper aspettare che l’altro ci ascolti …. questo capita nella  vita di coppia , nel rapporto con i figli ,  nella scuola  tra gli insegnanti , nelle relazioni con chi ci sta accanto,  nelle Parrocchie nei consigli Pastorali , tra catechisti



Gesù ci insegna  un’altra Parola: << il tu>> la parolina più antica del mondo <…. tu abbi pietà...>>

<< Il tu > è una parola di unione, di confidenza, ci mette a nostro agio, è familiarità e Gesù lo sa bene … 

Il Tu avvicina ogni uomo al Padre sapendo di  Essere Amati e di Amare  ,

Vita e preghiera percorrono la stessa strada in un incontro vero profondo  che solo Dio sa riconoscere nel silenzio in un intimità sublime  dove l’anima della creatura si fa Uno col Creatore e diventa Preghiera .



<<Peccatore>>  la terza parola : . In essa è riassunto un intero discorso: 'Sono debole, non sono degno, così non sto bene, non sono contento;  vorrei tanto essere diverso, ci provo ma ancora non ce la faccio; e allora  <<tu> perdonami  e aiutami! Donami Misericordia e Perdono, insegnami a cambiare …



Allora bussando alla porta del cuore di Dio  Onnipotente ed Eterno incessantemente   troviamo conforto e consolazione e pace interiore e un cuore aperto che sa rincominciare e diventare sempre Nuovo


Enzo: “Il pubblicano è un vero esempio del credente”,  ma era solo una parabola. La risposta di Gesù è per noi. Ad ognuno di noi capire e fare nostre le parole di Gesù. E' l'inquietudine di cui ci parlava Annamaria, per trovare in Dio " conforto e pace interiore e un cuore aperto che sa sempre ricominciare e diventare sempre nuovo" (Anna).


Annamaria: “ Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato, egli salva gli spiriti affranti”.

dal salmo 33

Anna: Benedirò  il Signore in ogni tempo sulla mia bocca sempre la sua Lode, questa è la risposta ad ogni spirito affranto.

Mariella: Bellissima conclusione per questa serata di meditazione: ci apre alla lode, al ringraziamento, alla fiducia nella Misericordia del Signore


Giuseppe: ... E nello zaino, Ti porterò per sempre con me!


Mariella: A noi è chiesto di farci piccoli, umili, poveri in spirito, bisognosi di perdono, il Signore riscatterà la nostra vita!

1 commento:

  1. Descrizione della vera devozione

    Mia cara Filotea, tu vorresti giungere alla devozione perché sai bene, come cristiana, quanto
    questa virtù sia accetta a Dio: ma, siccome i piccoli errori commessi all’inizio di qualsiasi impresa,
    ingigantiscono con il tempo e risultano, alla fine, irreparabili o quasi, è necessario, prima di tutto,
    che tu sappia che cos’è la virtù della devozione. Di vera ce n’è una sola, ma di false e vane ce ne
    sono tante; e se non sai distinguere la vera, puoi cadere in errore e perdere tempo correndo dietro a
    qualche devozione assurda e superstiziosa…
    Arelio dava a tutti i volti che dipingeva le sembianze e l’espressione delle donne che amava;
    ognuno si crea la devozione secondo le proprie tendenze e la propria immaginazione. Chi si
    consacra al digiuno, penserà di essere devoto perché non mangia, mentre ha il cuore pieno di
    rancore; e mentre non se la sente di bagnare la lingua nel vino e neppure nell’acqua, per amore della
    sobrietà, non avrà alcuno scrupolo nel tuffarla nel sangue del prossimo con la maldicenza e la
    calunnia.
    Un altro penserà di essere devoto perché biascica tutto il giorno una filza interminabile di
    preghiere; e non darà peso alle parole cattive, arroganti e ingiuriose che la sua lingua rifilerà, per il
    resto della giornata, a domestici e vicini.
    Qualche altro metterà mano volentieri al portafoglio per fare l’elemosina ai poveri, ma non
    riuscirà a cavare un briciolo di dolcezza dal cuore per perdonare i nemici; ci sarà poi l’altro che
    perdonerà i nemici, ma di pagare i debiti non gli passerà neanche per la testa; ci vorrà il tribunale.
    Tutta questa brava gente, dall’opinione comune è considerata devota, ma non lo è per niente…

    …Così molti si coprono di alcune azioni esteriori, proprie della santa devozione e la gente crede che si tratti di persone veramente devote e spirituali; ma se vai a guardar bene, scopri che sono soltanto
    fantocci e fantasmi di devozione.
    La vera e viva devozione, Filotea, esige l’amore di Dio, anzi non è altro che un vero amore
    di Dio; non un amore genericamente inteso. Infatti l’amore di Dio si chiama grazia in quanto
    abbellisce l’anima, perché ci rende accetti alla divina Maestà; si chiama carità, in quanto ci dà la
    forza di agire bene; quando poi è giunto ad un tale livello di perfezione, per cui, non soltanto ci dà
    la forza di agire bene, ma ci spinge ad operare con cura, spesso e con prontezza, allora si chiama
    devozione. Gli struzzi non possono volare, le galline svolazzano di rado, goffamente e rasoterra; le
    aquile, le rondini e i colombi volano spesso, con eleganza e in alto.
    Similmente i peccatori non riescono a volare verso Dio, ma si spostano esclusivamente sulla
    terra e per la terra; le persone dabbene, che non possiedono ancora la devozione, volano verso Dio
    per mezzo delle buone azioni, ma di rado, con lentezza e pesantemente; le persone devote volano in
    Dio con frequenza, prontezza e salgono in alto.
    A dirlo in breve, la devozione è una sorta di agilità e vivacità spirituale per mezzo della
    quale la carità agisce in noi o, se vogliamo, noi agiamo per mezzo suo, con prontezza e affetto.


    San Francesco di Sales, Cap.1 Filotea, introduzione alla vita devota

    RispondiElimina