Parabola del Fariseo e del pubblicano
Domenica 27 Ottobre 2013-10-19
Dal Vangelo secondo Luca
18,9-14 : non sono come gli altri uomini…
Disse
ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di
essere
giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare:
uno era
fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé:
“O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli
altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri,
e neppure
come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le
decime di
tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza,
non osava
nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi
pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro,
tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi
invece si umilia sarà esaltato».
PAROLA DEL
SIGNORE!
Enzo: Chissà
quante volte abbiamo letto o ascoltato questo brano, tanto da saperlo quasi a
memoria.
Gesù racconta una parabola, un esempio per fare capire
l’atteggiamento da tenere nella preghiera. Gesù non ci carica sulle spalle
tutto in una volta: sapientemente ci ha insegnato cos’è la preghiera, come
pregare. Con questa parabola faremo nostro l’atteggiamento da tenere durante la
preghiera.
Ma ciò che colpisce che ancora, dopo tanti anni, dobbiamo
riconoscere che non abbiamo fatto nostri i suggerimenti di Gesù.
Pessimismo?...No.
La debolezza umana è sempre presente in noi come presente è
l’infinita misericordia di Dio. Debolezza e misericordia che dobbiamo
riconoscere: (debolezza nostra) e ad essa ricorrere (misericordia divina) per
progredire nella nostra vita di preghiera.
Non dobbiamo fare nostra la convinzione dei farisei di
essere persone giuste: è una pretesa che ci spinge ad essere giudici degli
altri, a santificarci da soli, rifiutando inconsapevolmente la giustificazione
divina, adottando un atteggiamento farisaico, vivendo una religiosità distorta.
Il fariseo, il giusto!
non è giustificato perché a forza di osservare la legge alla lettera e
anche più, ha trascurato il comandamento più importante quello di amare Dio e
il prossimo.
Gesù porta come esempio il pubblicano per ribadire che la
giustificazione è un dono gratuito che solo Dio può dare., “ Io vi dico…”, Dio
che vede nei cuori esalta l’umile e umilia, condanna il superbo.
Dal cuore umile, che sa riconoscere le proprie debolezze,
scaturisce la vera preghiera che
giustifica, rende giusti dinanzi a Dio
dando la forza per rovesciare la situazione di peccatori e cambiare strada.
La preghiera che nasce dalla nostra debolezza diventa
contemporaneamente forza che ci distoglie dalle tentazioni terrene e ci
avvicina sempre di più a Dio e ai fratelli. Il fariseo e il pubblicano della
parabola erano vicini , tutti e due nel
tempio, tutti e due pregavano, ma non facevano comunione:c’era disprezzo e
presunzione nel primo e nel secondo una sincera preghiera personale, umile,
desiderosa di cambiare vita.
Credo che al Signore piacerebbe se noi ogni volta che
preghiamo ci ricordassimo di parlargli del nostro prossimo…. Ma non come il
fariseo che voleva essere premiato, non come il pubblicano che pensava soltanto
di essere perdonato…
Ecco perché Gesù ci ha insegnato a dire: Padre nostro…E’ una
preghiera tutta al plurale…che ci impegna in prima persona.
Mariella:Anche in questa domenica la Parola di Dio
ritorna sul tema della preghiera.
Domenica scorsa Gesù sottolineava due caratteristiche essenziali della preghiera: la perseveranza e
la fiducia. Oggi mette in luce un'altra indispensabile caratteristica:
l'umiltà.
Infatti qual è la condizione necessaria perché la preghiera
arrivi a destinazione? Solo l'umiltà fa sì che la preghiera oltrepassi le nubi
e apra le porte del Cielo.
Per mettere a fuoco l’atteggiamento giusto col quale
rivolgersi a Dio ed esaminare invece la posizione sbagliata da non imitare
assolutamente, Gesù ci mette di
fronte due differenti personaggi, il
fariseo ed il pubblicano, molto diversi fra loro.
Il fariseo appartiene alla categoria più stimata ed
influente, è un osservante scrupoloso della Legge, per questo viene considerato
dalla pubblica opinione un modello di perfezione religiosa.
Incontrerebbe anche lui lo sguardo del Signore se solo
sapesse chinarsi quel tanto che basta per riuscire a battersi il petto: allora
diminuirebbe il suo "io" e forse vedrebbe Dio,
ma il suo sguardo è “oltre”, guarda sempre troppo avanti,
sta troppo dritto, è troppo sicuro di sé!
Dall'altra parte il pubblicano, cioè un esattore delle
tasse, appartenente alla categoria di uomini considerati strozzini, odiati da
tutti e ritenuti pubblici peccatori perché sfruttavano la loro posizione
sociale a proprio vantaggio.
A differenza del fariseo, lui sa di non meritare il primo
posto di fronte a Dio, resta in fondo, non ha nulla di buono da presentare a
Dio e neppure pensa a confrontarsi con altri, come fa il fariseo
Sa che la sua posizione è di un'estrema gravità s’inchina
umilmente, si apre al Signore dando libero sfogo alla sua pena interiore,
riesce solo a dire: "Pietà di me, peccatore".
Scopre che la sua supplica incontra l'amore di un Padre che
si china su di lui e lo perdona.
Il pubblicano diventa esempio del vero credente, che non
confida in sé, ma in Dio soltanto.
La conclusione "Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato" riprende
l'affermazione, più volte ripetuta nel Vangelo, che l'umiltà tocca il cuore di
Dio.
Come giustamente diceva Enzo sono tante le forme di
fariseismo che minacciano la vita del cristiano e sulle quali dobbiamo vigilare:
il volere apparire più che di essere,
il partecipare
assiduamente al culto senza che questo però cambi il cuore e incida sul modo di
vivere e agire,
il ritenersi autosufficienti e non invocare l’aiuto e la
guida del Signore,
il ritenersi persone per bene che non hanno nulla da
rimproverarsi rinunciando a quel minimo di inquietudine che ti costringe a
pesare la propria miseria…
L’elenco potrebbe continuare all’infinito!
È una grazia saper riconoscere le contraddizioni ed i limiti
della nostra umanità e permettere al pubblicano che è in noi, di rivolgere al
Signore la sua invocazione sincera, umile e fiduciosa
Proviamo a chiederci: Gesù, guardando il mio modo di
pregare, di pensare e di agire, mi collocherebbe nella categoria rappresentata
a livello spirituale dal pubblicano o in quella rappresentata dal fariseo?
Annamaria: Mi è piaciuto un passaggio di mariella quando
dice: “il ritenersi persone per bene che non hanno nulla da rimproverarsi
rinunciando a quel minimo di inquietudine che ti costringe a pesare la propria
miseria…l’elenco potrebbe continuare all’infinito!”
Intendo in particolare la “propria miseria” che tradurrei
con la povertà.
Cioè non solo quella materiale ma soprattutto quella che ci
dà la possibilità e la consapevolezza di essere dei salvati.
Il pubblicano è consapevole della sua "povertà":
ed è questa consapevolezza che gli fa sgorgare dal cuore "O Dio abbi pietà
di me...." ecco che allora entra in comunione col Signore e con la Sua
Grazia.
Questa è l'inquietudine che ci dovrebbe essere compagna di vita.
Giuseppe: Sedevo, ieri l’altro in fondo alla mia
chiesa, nella penombra. Tutto era pronto per un funerale. E io meditavo sul
vangelo di domenica prossima e mi chiedevo: Sono io abbastanza pubblicano per
essere gradito al mio Signore?
Perché io credo che è solo
nell’intimità più nascosta e sincera che noi possiamo trovare la
risposta.
Oh mio Dio io sono peccatore e mi pento, io sono nulla
rispetto al Tutto che sei tu. Ciò che dico, avvolto nella penombra del tempio sacro, è un silenzioso dialogo
formale?
Oppure il mio pentirmi è così forte e reale da coinvolgermi
profondamente, da farmi cambiare strada, da accettare pure l’ironia del
prossimo per amore del mio Signore? E provo amarezza, solitudine antica, ormai.
E mi ritrovo a giudicarmi, a definire la mia una fede
imperfetta. So bene chi io sia, purtroppo, io che trovo sempre il sistema più
comodo, lo vedo davanti agli occhi che faticano ad aprirsi a Dio.
Questa pagina del vangelo devo meditarla più spesso, non
basterà nemmeno impararla a memoria perché prevede un mio diverso modo di agire
e di pormi davanti al mondo, senza mai giudicare ma sempre operare secondo i
consigli che segretamente il Signore ci sussurra continuamente alle orecchie
dell’anima.
E penso alla famiglia
che Dio mi ha dato e continua ancora nella mia unica figlia rimasta. Avrò insegnato un po’ di umiltà, sono stato
io capace di far vivere nella mia famiglia la gioia semplice, quella che dona
il Signore?
Quanti pensieri, quanti problemi ci poniamo noi, Gesù!
E non la smettiamo, mai contenti di ciò che abbiamo fatto
perché moltissimo abbiamo ricevuto gratuitamente da Te!
Hai ragione dolce amica Teresa che in Avila vivesti accanto
al tuo Sposo: “Solo Dios basta!” Già,
solo Dio, ma quanto è difficile!
Anna: Il Brano del Vangelo di stasera di Luca
ci immerge nella realtà di Gesù :
tre parole mi fanno capire come ogni uomo per Essere Figlio di Dio ha bisogno
di rivedere e cambiare il suo modo di vivere ,
tutto il suo essere, se desidera stare con Gesù ed essere suo discepolo :
Io – tu – peccato... tre paroline che cambiano la nostra vita .
Rifletto e penso alla
vita di tutti i giorni , nel nostro parlare , nei nostri atteggiamenti:
quante volte iniziamo col dire …<< Io ho fatto – io dico – io decido – io
sono – io ho pensato ….. e nel nostro discorso vogliamo vincere la
partita con chi ci ascolta … io ho sempre ragione …io faccio così senza
nemmeno interpellare l’altro, senza
neppure saper aspettare che l’altro ci ascolti …. questo capita nella vita di coppia , nel rapporto con i figli
, nella scuola tra gli insegnanti , nelle relazioni con chi
ci sta accanto, nelle Parrocchie nei
consigli Pastorali , tra catechisti
Gesù ci insegna
un’altra Parola: << il tu>> la parolina più antica del mondo
<…. tu abbi pietà...>>
<< Il tu > è una parola di unione, di confidenza,
ci mette a nostro agio, è familiarità e Gesù lo sa bene …
Il Tu avvicina ogni uomo al Padre sapendo di Essere Amati e di Amare ,
Vita e preghiera percorrono la stessa strada in un incontro
vero profondo che solo Dio sa
riconoscere nel silenzio in un intimità sublime
dove l’anima della creatura si fa Uno col Creatore e diventa Preghiera .
<<Peccatore>>
la terza parola : . In essa è riassunto un intero discorso: 'Sono debole,
non sono degno, così non sto bene, non sono contento; vorrei tanto essere diverso, ci provo ma
ancora non ce la faccio; e allora <<tu>
perdonami e aiutami! Donami Misericordia
e Perdono, insegnami a cambiare …
Allora bussando alla porta del cuore di Dio Onnipotente ed Eterno incessantemente troviamo conforto e consolazione e pace interiore
e un cuore aperto che sa rincominciare e diventare sempre Nuovo
Enzo: “Il pubblicano è un vero esempio del credente”,
ma era solo una parabola. La risposta di
Gesù è per noi. Ad ognuno di noi capire e fare nostre le parole di Gesù. E'
l'inquietudine di cui ci parlava Annamaria, per trovare in Dio " conforto
e pace interiore e un cuore aperto che sa sempre ricominciare e diventare
sempre nuovo" (Anna).
Annamaria: “ Il Signore è vicino a chi ha il cuore
spezzato, egli salva gli spiriti affranti”.
dal salmo 33
Anna: Benedirò
il Signore in ogni tempo sulla mia bocca sempre la sua Lode, questa è la
risposta ad ogni spirito affranto.
Mariella: Bellissima conclusione per questa serata di
meditazione: ci apre alla lode, al ringraziamento, alla fiducia nella
Misericordia del Signore
Giuseppe: ... E nello zaino, Ti porterò per sempre
con me!
Mariella: A noi è chiesto di farci piccoli, umili,
poveri in spirito, bisognosi di perdono, il Signore riscatterà la nostra vita!
Descrizione della vera devozione
RispondiEliminaMia cara Filotea, tu vorresti giungere alla devozione perché sai bene, come cristiana, quanto
questa virtù sia accetta a Dio: ma, siccome i piccoli errori commessi all’inizio di qualsiasi impresa,
ingigantiscono con il tempo e risultano, alla fine, irreparabili o quasi, è necessario, prima di tutto,
che tu sappia che cos’è la virtù della devozione. Di vera ce n’è una sola, ma di false e vane ce ne
sono tante; e se non sai distinguere la vera, puoi cadere in errore e perdere tempo correndo dietro a
qualche devozione assurda e superstiziosa…
Arelio dava a tutti i volti che dipingeva le sembianze e l’espressione delle donne che amava;
ognuno si crea la devozione secondo le proprie tendenze e la propria immaginazione. Chi si
consacra al digiuno, penserà di essere devoto perché non mangia, mentre ha il cuore pieno di
rancore; e mentre non se la sente di bagnare la lingua nel vino e neppure nell’acqua, per amore della
sobrietà, non avrà alcuno scrupolo nel tuffarla nel sangue del prossimo con la maldicenza e la
calunnia.
Un altro penserà di essere devoto perché biascica tutto il giorno una filza interminabile di
preghiere; e non darà peso alle parole cattive, arroganti e ingiuriose che la sua lingua rifilerà, per il
resto della giornata, a domestici e vicini.
Qualche altro metterà mano volentieri al portafoglio per fare l’elemosina ai poveri, ma non
riuscirà a cavare un briciolo di dolcezza dal cuore per perdonare i nemici; ci sarà poi l’altro che
perdonerà i nemici, ma di pagare i debiti non gli passerà neanche per la testa; ci vorrà il tribunale.
Tutta questa brava gente, dall’opinione comune è considerata devota, ma non lo è per niente…
…Così molti si coprono di alcune azioni esteriori, proprie della santa devozione e la gente crede che si tratti di persone veramente devote e spirituali; ma se vai a guardar bene, scopri che sono soltanto
fantocci e fantasmi di devozione.
La vera e viva devozione, Filotea, esige l’amore di Dio, anzi non è altro che un vero amore
di Dio; non un amore genericamente inteso. Infatti l’amore di Dio si chiama grazia in quanto
abbellisce l’anima, perché ci rende accetti alla divina Maestà; si chiama carità, in quanto ci dà la
forza di agire bene; quando poi è giunto ad un tale livello di perfezione, per cui, non soltanto ci dà
la forza di agire bene, ma ci spinge ad operare con cura, spesso e con prontezza, allora si chiama
devozione. Gli struzzi non possono volare, le galline svolazzano di rado, goffamente e rasoterra; le
aquile, le rondini e i colombi volano spesso, con eleganza e in alto.
Similmente i peccatori non riescono a volare verso Dio, ma si spostano esclusivamente sulla
terra e per la terra; le persone dabbene, che non possiedono ancora la devozione, volano verso Dio
per mezzo delle buone azioni, ma di rado, con lentezza e pesantemente; le persone devote volano in
Dio con frequenza, prontezza e salgono in alto.
A dirlo in breve, la devozione è una sorta di agilità e vivacità spirituale per mezzo della
quale la carità agisce in noi o, se vogliamo, noi agiamo per mezzo suo, con prontezza e affetto.
San Francesco di Sales, Cap.1 Filotea, introduzione alla vita devota