5– Prologo di Giovanni : Venne
a porre la sua tenda in mezzo a noi
Commento di
Padre Augusto Drago
“E IL VERBO SI E' FATTO CARNE E
VENNE A PORRE LA SUA TENDA IN MEZZO A NOI.
E NOI VEDEMMO LA SUA GLORIA,
GLORIA COME DI UNIGENITO DEL PADRE,
PIENO DI GRAZIA E DI VERITÀ” (Gv 1, 14).
Questo versetto del Prologo è da leggere in ginocchio, in atteggiamento adorante.
Un versetto che sta al centro del Prologo e che ne è la sintesi
unica. Bisogna pesarne tutte le parole: sono cariche di linfa biblica.
“E il verbo si è fatto carne”. Il versetto I° aveva già parlato
espressamente di questo Verbo e ce lo ha fatto contemplare all’interno della
vita Trinitaria. Ora, qui al versetto 14 ,di questo Verbo si afferma qualcosa
che sta al centro di tutta la storia della salvezza.
“Si è fatto carne”. “Si è fatto”, cioè nessuno lo ha costretto,
è un atto libero di amore per quella umanità che da Lui aveva preso forma e consistenza. Un atto di
audacia amorosa quale solo Dio può concepire. Si è fatto “carne”.
In questo termine “carne” sta l’audacia amorosa di Dio. La carne nella Bibbia indica la
condizione umana nella sua debolezza, nella sua precarietà. Tale è divenuto il
verbo che “all’ inizio era accanto a Dio, che era e rimane Dio”. Si
è fatto debole, vulnerabile, povero, fragile, poiché come dice il Profeta Isaia
: “Ogni carne mortale è come I’erba”(Is 40,
6). Perché lo ha fatto? “Per noi uomini e per la nostra salvezza” recita
il simbolo della nostra fede.
San Paolo esprime lo stesso mistero nella Lettera ai Filippesi:
“Spogliò se stesso, assumendo la forma di servo, apparso in forma umana
umiliò se stesso...” (Fil 2, 7-8). Quello che noi abbiamo chiamato “audacia
amorosa di Dio”, i Padri lo definivano “amore
folle”, sì perché
Dio nel Suo Verbo ci ha amati fino alla follia.
Cosi ama Dio, così l’uomo è oggetto del suo amore.
Alle volte facciamo sforzi enormi per amare il Signore, ma
tutto sarebbe più facile se pensassimo più seriamente non a come amare Dio, ma
a come siamo stati amati.
“E pose la sua tenda in mezzo a noi”! Questo versetto richiama
tutta una storia e tutta una dottrina. Se, infatti, la religione di Israele da
una parte è la religione della Parola, essa è anche la religione della
Presenza. Il Dio di Israele è un Dio
che abita in mezzo al suo popolo. Si fa erigere da Mosè una Dimora, una Tenda
nel Deserto e in essa viene, secondo il libro dell’Esodo, nella nuvola e nella
gloria.
L’espressione di S. Giovanni richiama questa tenda
dell’ebreo nomade. Ma nella carne assunta dal Verbo si attua la Presenza di Dio
in modo reale e tangibile. “E’ tra noi”! Come si è compiuto
questo mistero? Come è venuto? La Liturgia del Natale ci richiama due versetti
del Libro della Sapienza: “Mentre un quieto silenzio avvolgeva ogni cosa,
e la notte giungeva a metà del suo corso, l’onnipotente tua Parola si slanciò
dal cielo, dal suo trono regale” (Sap 18, 14-15). Questi versetti
parlano del mistero dell’Incarnazione e il profondo silenzio che vi opera
dentro, trova in essi la
più felice espressione.
Le grandi realtà maturano nel silenzio e nella chiarezza
della vista interiore.
Per noi non è data
altra via per farci raggiungere da questo mistero. E’ la via del silenzio
stupito e adorante: silenzio della mente, silenzio del cuore, silenzio delle
passioni, silenzio delle parole inutili, silenzio dei pensieri che turbano,
silenzio dell’anima. E quando tutto tace in noi, il mistero del Dio fatto carne
e che viene tra noi ci raggiunge e
quel silenzio esplode in una indicibile e commossa gioia: la gioia, appunto, di
essere amati. Dio è con
noi! Se Dio è con noi, chi può essere
contro di noi? Nasce così il Vangelo della gioia: nasce quando, attraverso il silenzio, il mistero di Dio
raggiunge le profondità più recondite della nostra umanità che finalmente,
sanata e guarita dall’amore, sente di essere, come il grembo di Maria, Tenda
della Abitazione di Dio, abitata e posseduta da Dio!
“E noi abbiamo contemplato la sua gloria”. “Gloria” indica l’irraggiarsi della
Presenza di Dio nel nostro caso la “gloria” dell’Unigenito del Padre. La
Presenza di Dio nel Verbo fatto carne si irradia nel mondo, ma chi è in grado
di “contemplarla”? Solo i poveri, gli umili, i piccoli, i semplici! I Vangeli
dell’Infanzia ci danno le “icone” di questa categoria di persone: Maria,
Giuseppe, Elisabetta, Simeone, Anna: tutte persone avvolte di silenzio, di
preghiera, di povertà, di semplicità.
Nella prima
Beatitudine evangelica si legge: “Beati i poveri in spirito: di essi è il
Regno dei cieli” (Mt 5, 3). Noi potremmo ritradurla cosi: “beati i
poveri in spirito: essi vedranno la gloria di Dio”.
Tale
irraggiamento è velato nel tenero Bambino a Betlemme: ma, se pur velato, si
espande. Egli è già pieno di grazia e di verità, perché rivela al mondo l’amore
di Dio, gratuito, misericordioso e salvifico.
Da queste parole non c’è che da accogliere l’invito a
semplificare al massimo la nostra vita, a svuotare il nostro cuore, la nostra
mente, ad espropriarci per farci raggiungere dall’abisso di questo mistero che
chiede semplicemente di possederci e di amarci.
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