Ma voi
non credete perché non fate parte delle mie pecore ”.
Quarta
domenica di Pasqua – Anno C
Dal vangelo secondo Gv
10,22-30
Parola
del Signore!
Enzo: La
festa della dedicazione che cadeva nel giorno 14 dicembre di ogni
anno e seguiva quella delle capanne era stata istituita da Giuda
Maccabeo nel 164 a.c. in ricordo della purificazzione e dedicazione
del tempio, profanato da Antioco Epifane IV nel 167 a.c.
Giuda
dopo la liberazione di Gerusalemme purificò e riconsacrò il tempio
per ripristinare il culto del Signore sostituendo quella pagana in
onore di Giove Olimpico.
Questa
festività era collegata anche all'attesa messianica del re davidico.
In questa festa troviamo Gesù, che partecipa come ogni buon ebreo e
cammnina nel tempio in quella parte del portico di Salomone.
Vediamo
Gesù attorniato da alcuni giudei per interrogarlo. L'incontro, e ci
atteniamo semplicemente a questo brano in cui all'evangelista
interessa dimostrare ancora una volta la divinità di Gesù e a tutti
noi, in questo periodo di Pasqua, di ricordarlo assieme alla sua
risurrezione, non sarà stato dei più tranquilli.
Abbiamo
letto la domanda dei Giudei che sembra a prima vista motivata, ma
contemporaneamente ostile, ingannevole verso colui che altre volte
aveva dichiarato di essere l'atteso Messia. Mettiamoci per un attimo
nella testolina dei giudei... mascherano la loro intenzione ipocrita
dichiarando un loro dubbio, e di essere interessati a conoscere la
verità.
“Fino a quando ci terrai
nell'incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente”.
Ricordiamo che in questa festa il pensiero ebraico era rivolto anche
all'attesa messianica, per tanto tutti ne parlavano.La risposta di Gesù, che non vuole creare ambiguità e vuole invitare i suoi avversari, che conosce molto bene, alla fede, richiama le sue precedenti dichiarazioni, le sue opere straordinarie compiute nel nome del Padre, dalle quali si può dedurre la sua messianicità. “ Ve l'ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me”.
Inoltre
in questo testo Giovanni mette in risalto l'identità di coloro che
lo seguono, le sue pecore che sono in mani sicure, ma “Ma voi
non credete perché non fate parte delle mie pecore ”. Le mie
pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io
do loro la vita eterna”.
“Le
mie pecore”, perché Gesù
adopera questo linguaggio? L'evangelista Giovanni nello scrivere
queste parole ha soprattutto presente sia il capitolo 24 di
Ezechiele, che presenta Jahwè come pastore ed accenna al futuro
discendente di Davide (Ez 34,23), che il Salmo 23 che canta Jahwè
come “il pastore”. Il profeta Ezechiele dà lo spunto a Giovanni
di costruirvi sopra una teologia cristologica e una ecclesiologica:
Gesù è il buon pastore che chiama le sue pecore una per una, e la
Chiesa che nascerà con la pentecoste avrà la certezza di avere il
Signore stesso come guida che darà sicurezza al passo della
comunità, incamminata sulle strade del mondo fino alla fine del
mondo (significato anche escatologico).
Mentre
per gli altri evangelisti il “pastore” è Dio, per Giovanni è
Gesù Cristo, e questa versione è coerente con i versetti 29-30 “Il
Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può
strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
“Io
e il Padre siamo una cosa sola” :Le opere che compie nel nome
del Padre testimoniano la sua identità messianica, rendono visiva la
volontà del Padre. Chi crede in lui, le sue pecore, “ascoltano la
sua voce e lui le conosce ed esse lo seguono. Si crea così una
comunione intima tra Gesù e noi, sue pecore: Gesù ci porta per le
vie del mondo, nei pascoli rigogliosi, ci offe la sua Cena
eucaristica e la certezza di una vita eterna.
Il
versetto 31dello stesso capitolo 10, dice: “I Giudei portarono di
nuovo pietre per lapidarlo”. Sono usciti allo scoperto, ma chiusi
in una notte scura. Poveretti!
Finisco
questo breve commento (tratto dal foglio settimanale della mia
parrocchia) “con la certezza che Gesù è sempre con noi, è
presente all'interno delle nostre solidarietà umane e professionali,
nella nostra vita di credenti insoddisfatti di una fede inerte,
nell'impegno di coloro che cercano la verità, amano e perdonano, di
coloro che lottano per un mondo migliore e più giusto. Ed è
presente nel pane che spezziamo insieme facendo memoria di lui, per
tornare alla realtà quotidiana, sostenuti dalla sua forza”.
Mariella: Vorrei
aggiungere alcune riflessioni di approfondimento sulla figura del
Pastore che è Cristo in rapporto alle sue pecore che siamo tutti
noi.
In
quel tempo Gesù disse: “Le mie
pecore ascoltano la mia voce"
E' la voce di uno che parla al profondo del cuore di ogni persona che
cerca l'amore. E' un pastore che dà la sua vita per ognuna delle sue
pecore e nessuna del gregge va perduta o si disperde, perché questo
pastore, vigile, attento, premuroso e misericordioso, non lascia allo
sbando il gregge, ma si pone alla guida di esso con coraggio,
passione e dedizione. Le pecore di Gesù si trovano in mani sicure,
perché sono custodite con cura dal Padre e dal Figlio, queste due
Persone vivono in comunione e in intimità perfetta. Nessuna
delle pecore, se segue il suo pastore, si perderà, perchè chi segue
Cristo, chi ascolta la sua voce con determinazione, ha la certezza di
giungere ad una meta di vera ed eterna felicità. Il male non potrà
vincere nei confronti del bene, anche quando sembra prevalere, non
avrà mai l'ultima parola, perché la grazia del Signore, che opera
per mezzo dello Spirito, produce i suoi frutti spirituali su questa
terra, ma soprattutto per l'eternità.
"Io
le conosco": Gesù è più intimo di quanto ciascuno possa
essere intimo a se stesso, entra in relazione personale con chi si
lascia amare da Lui, ne conosce i pensieri, i desideri, la fragilità.
"Ed
esse mi seguono": Verrebbe da chiedersi dove? La risposta è
chiara; le pecore lo seguono per entrare nell'intimità con il Padre,
passando attraverso la quotidianità della vita, con le sue
tribolazioni, le sue croci. Via che Cristo stesso ha tracciato e
vissuto, non sottraendosi alla fragilità umana, al dono di sé nella
sottomissione al Padre, per la salvezza dell'umanità.
"Io
do loro la vita eterna": non è un desiderio di possesso, di
potere che conduce alla vita, ma è la via debole che apre ad
accogliere il dono della vita senza fine. La vita eterna di cui parla
il Vangelo è già l'oggi della vita percepita come presenta di Dio.
Gesù è talmente entrato nella carne umana da farne il luogo
dell'esperienza dell'Amore fedele e inesauribile di Dio.
"Nessuno
le strapperà dalla mia mano":
la comunità che trova la sua ragione di esistenza in un rapporto
diretto di appartenenza a Cristo, sperimenterà tensioni e difficoltà
lungo il cammino della storia, soprattutto in relazione alle altre
comunità più fortemente organizzate ma lontane dalla verità.
Per questo il Vangelo di Giovanni ci mostra il vero cammino, della
comunità "amante" perché impariamo a vivere rimanendo
nella Chiesa, senza lasciarci sviare da voci fuori dal coro.
Ognuno di noi è unico, inconfondibile, perché prima ancora è unico
il Pastore. Possiamo seguirlo, perché conosciamo la sua voce,
diversa da quella di qualsiasi altro. Egli è l'opposto del
mercenario che è pagato, sfrutta e strumentalizza le pecore. Il vero
pastore dà la vita per esse, non le domina, le serve, le conosce per
nome, ciascuna è importante, unica ai suoi occhi.
In questa
Domenica la Chiesa è invitata a pregare per le vocazioni di speciale
consacrazione, ognuna di esse nasce proprio da quel rapporto
personale di conoscenza e di amore fra il pastore e le "sue
pecore", quelle che scelgono di mettersi sulle sue spalle,
vivendo lo stesso rapporto di comunione e di unità che c'è fra il
Padre e il Figlio.
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