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venerdì 15 aprile 2016

“Fino a quando ci terrai nell'incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente”.

Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore ”.

Quarta domenica di Pasqua – Anno C



Dal vangelo secondo Gv 10,22-30

Ricorreva allora a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell'incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». Gesù rispose loro: «Ve l'ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
Parola del Signore!

Enzo: La festa della dedicazione che cadeva nel giorno 14 dicembre di ogni anno e seguiva quella delle capanne era stata istituita da Giuda Maccabeo nel 164 a.c. in ricordo della purificazzione e dedicazione del tempio, profanato da Antioco Epifane IV nel 167 a.c.
Giuda dopo la liberazione di Gerusalemme purificò e riconsacrò il tempio per ripristinare il culto del Signore sostituendo quella pagana in onore di Giove Olimpico.
Questa festività era collegata anche all'attesa messianica del re davidico. In questa festa troviamo Gesù, che partecipa come ogni buon ebreo e cammnina nel tempio in quella parte del portico di Salomone.

Vediamo Gesù attorniato da alcuni giudei per interrogarlo. L'incontro, e ci atteniamo semplicemente a questo brano in cui all'evangelista interessa dimostrare ancora una volta la divinità di Gesù e a tutti noi, in questo periodo di Pasqua, di ricordarlo assieme alla sua risurrezione, non sarà stato dei più tranquilli.

Abbiamo letto la domanda dei Giudei che sembra a prima vista motivata, ma contemporaneamente ostile, ingannevole verso colui che altre volte aveva dichiarato di essere l'atteso Messia. Mettiamoci per un attimo nella testolina dei giudei... mascherano la loro intenzione ipocrita dichiarando un loro dubbio, e di essere interessati a conoscere la verità.
Fino a quando ci terrai nell'incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente”. Ricordiamo che in questa festa il pensiero ebraico era rivolto anche all'attesa messianica, per tanto tutti ne parlavano.
La risposta di Gesù, che non vuole creare ambiguità e vuole invitare i suoi avversari, che conosce molto bene, alla fede, richiama le sue precedenti dichiarazioni, le sue opere straordinarie compiute nel nome del Padre, dalle quali si può dedurre la sua messianicità. “ Ve l'ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me”.
Inoltre in questo testo Giovanni mette in risalto l'identità di coloro che lo seguono, le sue pecore che sono in mani sicure, ma “Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore ”. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna”.

Le mie pecore”, perché Gesù adopera questo linguaggio? L'evangelista Giovanni nello scrivere queste parole ha soprattutto presente sia il capitolo 24 di Ezechiele, che presenta Jahwè come pastore ed accenna al futuro discendente di Davide (Ez 34,23), che il Salmo 23 che canta Jahwè come “il pastore”. Il profeta Ezechiele dà lo spunto a Giovanni di costruirvi sopra una teologia cristologica e una ecclesiologica: Gesù è il buon pastore che chiama le sue pecore una per una, e la Chiesa che nascerà con la pentecoste avrà la certezza di avere il Signore stesso come guida che darà sicurezza al passo della comunità, incamminata sulle strade del mondo fino alla fine del mondo (significato anche escatologico).

Mentre per gli altri evangelisti il “pastore” è Dio, per Giovanni è Gesù Cristo, e questa versione è coerente con i versetti 29-30 “Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

Io e il Padre siamo una cosa sola” :Le opere che compie nel nome del Padre testimoniano la sua identità messianica, rendono visiva la volontà del Padre. Chi crede in lui, le sue pecore, “ascoltano la sua voce e lui le conosce ed esse lo seguono. Si crea così una comunione intima tra Gesù e noi, sue pecore: Gesù ci porta per le vie del mondo, nei pascoli rigogliosi, ci offe la sua Cena eucaristica e la certezza di una vita eterna.

Il versetto 31dello stesso capitolo 10, dice: “I Giudei portarono di nuovo pietre per lapidarlo”. Sono usciti allo scoperto, ma chiusi in una notte scura. Poveretti!

Finisco questo breve commento (tratto dal foglio settimanale della mia parrocchia) con la certezza che Gesù è sempre con noi, è presente all'interno delle nostre solidarietà umane e professionali, nella nostra vita di credenti insoddisfatti di una fede inerte, nell'impegno di coloro che cercano la verità, amano e perdonano, di coloro che lottano per un mondo migliore e più giusto. Ed è presente nel pane che spezziamo insieme facendo memoria di lui, per tornare alla realtà quotidiana, sostenuti dalla sua forza”.


Mariella: Vorrei aggiungere alcune riflessioni di approfondimento sulla figura del Pastore che è Cristo in rapporto alle sue pecore che siamo tutti noi.

In quel tempo Gesù disse: “Le mie pecore ascoltano la mia voce" E' la voce di uno che parla al profondo del cuore di ogni persona che cerca l'amore. E' un pastore che dà la sua vita per ognuna delle sue pecore e nessuna del gregge va perduta o si disperde, perché questo pastore, vigile, attento, premuroso e misericordioso, non lascia allo sbando il gregge, ma si pone alla guida di esso con coraggio, passione e dedizione. Le pecore di Gesù si trovano in mani sicure, perché sono custodite con cura dal Padre e dal Figlio, queste due Persone vivono in comunione e in intimità perfetta.  Nessuna delle pecore, se segue il suo pastore, si perderà, perchè chi segue Cristo, chi ascolta la sua voce con determinazione, ha la certezza di giungere ad una meta di vera ed eterna felicità. Il male non potrà vincere nei confronti del bene, anche quando sembra prevalere, non avrà mai l'ultima parola, perché la grazia del Signore, che opera per mezzo dello Spirito, produce i suoi frutti spirituali su questa terra, ma soprattutto per l'eternità.
"Io le conosco": Gesù è più intimo di quanto ciascuno possa essere intimo a se stesso, entra in relazione personale con chi si lascia amare da Lui, ne conosce i pensieri, i desideri, la fragilità.
"Ed esse mi seguono": Verrebbe da chiedersi dove? La risposta è chiara; le pecore lo seguono per entrare nell'intimità con il Padre, passando attraverso la quotidianità della vita, con le sue tribolazioni, le sue croci. Via che Cristo stesso ha tracciato e vissuto, non sottraendosi alla fragilità umana, al dono di sé nella sottomissione al Padre, per la salvezza dell'umanità.
"Io do loro la vita eterna": non è un desiderio di possesso, di potere che conduce alla vita, ma è la via debole che apre ad accogliere il dono della vita senza fine. La vita eterna di cui parla il Vangelo è già l'oggi della vita percepita come presenta di Dio. Gesù è talmente entrato nella carne umana da farne il luogo dell'esperienza dell'Amore fedele e inesauribile di Dio.
"Nessuno le strapperà dalla mia mano": la comunità che trova la sua ragione di esistenza in un rapporto diretto di appartenenza a Cristo, sperimenterà tensioni e difficoltà lungo il cammino della storia, soprattutto in relazione alle altre comunità più fortemente organizzate ma lontane dalla verità.   Per questo il Vangelo di Giovanni ci mostra il vero cammino, della comunità "amante" perché impariamo a vivere rimanendo nella Chiesa, senza lasciarci sviare da voci fuori dal coro.  Ognuno di noi è unico, inconfondibile, perché prima ancora è unico il Pastore. Possiamo seguirlo, perché conosciamo la sua voce, diversa da quella di qualsiasi altro. Egli è l'opposto del mercenario che è pagato, sfrutta e strumentalizza le pecore. Il vero pastore dà la vita per esse, non le domina, le serve, le conosce per nome, ciascuna è importante, unica ai suoi occhi.
In questa Domenica la Chiesa è invitata a pregare per le vocazioni di speciale consacrazione, ognuna di esse nasce proprio da quel rapporto personale di conoscenza e di amore fra il pastore e le "sue pecore", quelle che scelgono di mettersi sulle sue spalle, vivendo lo stesso rapporto di comunione e di unità che c'è fra il Padre e il Figlio

 






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