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venerdì 3 febbraio 2017

La comunità cristiana d’oggi rischia di nascondere sotto pesanti schermi la luce di Cristo?

Il cristiano insipido a null'altro serve...

QUINTA DOMENICA DEL T.O. - ANNO A – 5 febbraio 2017


Il brano del vangelo di questa domenica presuppone le beatitudini annunciate domenica scorsa.
Dopo averle enunciate Gesù si rivolge ai suoi discepoli: sono loro in prima persona le persone scelte ad essere beati, e non solo. A loro spetta annunciare le beatitudini, calarsi nella realtà degli uomini e dare testimonianza del loro discepolato, fare le veci di Gesù che non sempre rimarrà con loro.

Le tre letture di questa domenica ci portano a dare uno sguardo alla nostra coscienza di discepoli di Gesù, al nostro modo di dialogare con Dio, di pregare, di annunciare e testimoniare il Vangelo, a chiederci se effettivamente siamo in linea con quanto Gesù ci ha detto e lasciato.

La prima lettura ricorda al popolo ebreo, e a noi oggi, ciò che Dio gradisce; la seconda l'apostolo Paolo ai Corinzi dopo aver rimproverato i Corinti di essere divisi tra di loro, li esorta a non cercare la sapienza della parola, l'argomentare, la ricerca filosofica che erano proprie del popolo greco: in Grecia Paolo aveva fallito la sua missione per aver cercato di parlare di Cristo utilizzando parole di sapienza (At 17,16-34).
Nel brano del Vangelo Gesù indica i suoi discepoli come sale della terra e luce del mondo.
La funzione dei discepoli è illustrata dalle metafore casalinghe del sale in quanto condimento e dell’unica lampada che illuminava la casa di una sola stanza del contadino palestinese.
Ricordo che da questo capitolo fino al settimo compreso l'evangelista Matteo ci presenterà le azioni e il pensiero di Gesù da applicare come discepoli beati.

Is 58,7-10
Non consiste forse (il digiuno) nel dividere il pane con l'affamato,
nell'introdurre in casa i miseri, senza tetto,
nel vestire uno che vedi nudo,
senza trascurare i tuoi parenti?
Allora la tua luce sorgerà come l'aurora,
la tua ferita si rimarginerà presto.
Davanti a te camminerà la tua giustizia,
la gloria del Signore ti seguirà.
Allora invocherai e il Signore ti risponderà,
implorerai aiuto ed egli dirà: «Eccomi!».
Se toglierai di mezzo a te l'oppressione,
il puntare il dito e il parlare empio,
se aprirai il tuo cuore all'affamato,
se sazierai l'afflitto di cuore,
allora brillerà fra le tenebre la tua luce,
la tua tenebra sarà come il meriggio”.

Al popolo ebraico preoccupato della pratica esteriore ed irreprensibile del culto, indaffarato a ricostruire il tempio distrutto, Dio ricorda che, più dello splendore del culto, gli è gradito l’ospitare i senza tetto, il dividere il pane con l’affamato... «Allora sì la tua luce sorgerà come l’aurora». Non basta pregare e digiunare.
La lettura di oggi va collocata nel contesto di uno di questi momenti di digiuno. Siamo nel V secolo a. C., il tempo del post-esilio. Il popolo è tornato da Babilonia, ma le promesse fatte dai profeti tardano a realizzarsi. Invece della sospirata comunità pacifica si è instaurata una società dominata da arrivisti e profittatori. Ovunque ci sono violenze, angherie, discordie. Per convincere Dio a intervenire e porre rimedio alla situazione, si indice un digiuno nazionale, rigoroso, severo.

Ci si chiede: perché digiunare se il Signore non ascolta ed è come se non ci fossimo sottoposti a mortificazioni e rinunce? (Is 58.3).
La lettura di oggi dà una risposta a questo interrogativo. La colpa del mancato cambiamento - spiega il profeta - non è del Signore, ma del modo errato di praticare il digiuno, ridotto a una sterile autopunizione, a una dolorosa penitenza. Questo digiuno non ottiene alcun risultato perché sottopone, sì, il corpo a privazioni, ma non cambia il cuore.
L’astinenza dal cibo conta poco, se non è per nutrire l’affamato. La preghiera e il digiuno devono essere uniti all’azione, alla condivisione fraterna, placare il cuore dell'afflitto «per far brillare fra le tenebre la luce». Torna questa parola “LUCE” che il discepolo deve far brillare per illuminare chi vive nelle tenebre, nella povertà, chi è oppresso.

1 Cor 2,1-5


Anch'io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l'eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso. Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.

Le parole di Paolo hanno bisogno di una introduzione per poterne capire il senso teologico e pastorale. Paolo quando si trovò in Grecia era convinto di dover usare un linguaggio e un metodo come i sapienti greci.Fu un completo fallimento! ( Vi invito a leggere Atti 17,16-32). Da allora egli stesso aveva capito sulla sua pelle che non poteva utilizzare questo metodo. Recatosi a Corinto cambia completamente registro e
contrappone alla sapienza della parola la follia della croce. “Anch'io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l'eccellenza della parola o della sapienza”.

Presentatosi nella sua debolezza, con umiltà, povero e malato, l'annuncio del Vangelo brillò in tutta la forza dello Spirito, senza nessuna sapienza che lo offuscasse: Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso”, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio”.


Predicare è annunciare Gesù: da parte la sapienza umana, da parte l'orgoglio, da parte la nostra persona, la nostra voce dovrà essere quella dello Spirito, potenza di Dio. AContrariamente saremmo campane stonate che non piacciono a nessuno, sale senza sapore, luce nascosta sotto il moggio (vangelo).

Mt 5,13-16

Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente.
Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli.

Gesù parla ai suoi discepoli direttamente, pronuncia e spiega due frasi: Voi siete il sale della terra, Voi siete la luce del mondo. Nella spiegazione, le due immagini vengono riferite alle “opere buone” dei discepoli. Vivendo secondo l’insegnamento di Gesù, gli uomini manifesteranno la bontà del “loro Padre che è nei cieli”.
Ma avverte che il sale insipido «a null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini». Si parla di luce nascosta «sotto il moggio». E’ un invito a saggiare la qualità del nostro sale di cristiani d’oggi, e a vedere con quali paralumi abbiamo nascosto la luce del vangelo.
La parabola del sale è raccontata subito dopo le «beatitudini». Il cristiano è sale se accoglie integralmente le proposte del Maestro, senza aggiunte, senza modifiche, senza i «ma», i «se» e i «però» con cui si tenta di ammorbidirle, di renderle meno esigenti, più praticabili.



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