Ci sentiamo veramente discepoli di Gesù?
Ottava
domenica del T.O – AnnoA- 26 febbraio 2017
Ad
una settimana di distanza dall'inizio della Quaresima, la Parola ci
invita a fidarci di Dio, a meditare chi è Dio per noi e noi chi
siamo per Dio, cosa fa Dio per noi e noi cosa facciamo per Dio. La
prima lettura vediamo il popolo eletto lamentarsi perchè le vicende
del tempo lo hanno portato ad una siuazione di sofferenza, il popolo
alza il suo grido perché si sente abbandonato da Dio.
La
seconda lettura segue immediatamente il brano di domenica
scorsa, in cui si parlava della saggezza e della stoltezza secondo
Dio, degli eletti. In questa dimensione devono essere accolti i
leaders della comunità, servi del Signore, amministratori e non
padroni consapevoli che la comunità ha il
diritto e il dovere di esprimere il
proprio parere sull'operato dei
ministri e amministratori
( pareri non giudizi) e
questi non possono arrogarsi il diritto di agire in modo arbitrario e
di «comportarsi da padroni»: vivere insomma nella reciproca
fiducia.
Paolo
poi fa la propria autodifesa: egli era stato criticato da quelli che
si vantavano di essere cristiani illuminati e maturi. Ci
interrogheremo alla presenza di Dio su chi siamo noi, come ci
giudichiamo.
Della
fiducia parla anche il Vangelo. Gesù pone la scelta tra due modi di
vivere, indica la possibilità di scegliere tra due padroni: Dio o la
ricchezza, le cose celesti o quelle umane, lo spirito o il mondo.
Gesù ci vuole liberi di scegliere e
consapevoli di che cosa è importante e cosa non lo è.
Dal
libro del Profeta Isaia49,14-15
Sion
ha detto: «Il Signore mi ha abbandonato,
il Signore mi ha dimenticato».Si dimentica forse una donna del suo bambino,
così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se costoro si dimenticassero,
io invece non ti dimenticherò mai.
il Signore mi ha dimenticato».Si dimentica forse una donna del suo bambino,
così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se costoro si dimenticassero,
io invece non ti dimenticherò mai.
“Il
Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato”. È il
lamento con cui inizia la lettura di oggi ed è l'espressione della
dolorosa esperienza di chiunque, caduto nell'abisso del peccato,
avvolto da sofferenza, rifiutato dai propri simili,sia convinto che
anche il Signore lo rifiuti.
Questi
pensieri sorgono quando vengono proiettati in Dio i nostri criteri di
giudizio e
le
nostre meschinità. Compare allora il Dio suscettibile, permaloso e
persino vendicativo.
Questa
deformazione del suo volto è la più subdola delle astuzie
diaboliche e il Signore si premura di cancellarla.
Si dimentica
forse una donna del suo bambino,
così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai.
così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai.
Lamentarsi
è umano ma anche lo dovrebbe essere l'accettazione del male
provvisorio o duraturo, umana la fiducia di abbandonarsi alla volontà
divina che si fa presente nella nostra vita quando le vicende umane
sembrano prendere il sopravvento e ci sconvolgono. Anche Gesù,
ricordate, fece questa esperienza sulla croce: “mio
Dio, mio Dio perché mi hai abbandonato? “, e
subito dopo nell'istante della sua morte, ci racconta l'evangelista
Marco “Gesù, dando un forte
grido, spirò”. E'
il grido della speranza, della fede, della fiducia nonostante la
realtà dell'abbandono vissuto.
Dalla
prima lettera di Paolo apostolo ai Corinti 4,1-5
“Ognuno
ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di
Dio. Ora, ciò che si richiede agli amministratori è che ognuno
risulti fedele. A me però importa assai poco di venire giudicato da
voi o da un tribunale umano; anzi, io non giudico neppure me stesso,
perché, anche se non sono consapevole di alcuna colpa, non per
questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore! Non vogliate
perciò giudicare nulla prima del tempo, fino a quando il Signore
verrà. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà
le intenzioni dei cuori; allora ciascuno riceverà da Dio la lode”.
Il
brano di oggi conclude la lunga trattazione di questo argomento,
iniziata con il severo monito: «Cristo è stato forse diviso? Forse
Paolo è stato crocifisso per voi, o è nel nome di Paolo che siete
stati battezzati?» (1Cor 1,13).
Paolo
impiega il plurale, parla dei discepoli che annunciano il Vangelo.
“Ognuno ci
consideri come servi di Cristo e amministratori dei
misteri di Dio”. Con due termini espressivi ne definisce il ruolo:
sono servi cioè inservienti che liberamente hanno
accettato di svolgere un incarico; sono dei subordinati, dei
dipendenti a servizio di un Signore, Cristo; sono degli
amministratori non dei padroni, hanno in mano beni che
appartengono a Dio, a loro sono stati solo affidati affinché li
facciano fruttare.
Agli
amministratori si richiede solo la fedeltà. Chi annuncia il vangelo
del Maestro, deve avere un'unica preoccupazione: trasmettere il
messaggiog senza aggiungere e nulla togliere. Il padrone non gli
chiederà se è riuscito a convincere molte persone, ma domanderà
soltanto se ha annunciato il vangelo secondo verità, senza cedere
agli opportunismi, senza scendere a compromessi, senza rispetti
umani.
Nella
seconda parte del brano (vv. 3-5) Paolo risponde alle critiche
che i corinzi gli muovono.
Assicura
che non è per niente preoccupato dei giudizi pronunciati su di lui,
siano
essi
di approvazione o di condanna. Non è ai corinzi che deve rendere
conto del proprio operato, ma a Dio. Non si fida nemmeno del giudizio
della sua coscienza, anche se, onestamente, riconosce che non gli
rimprovera nulla. Tiene presente questo giudizio, ma non lo considera
definitivo, attende quello del Signore che verrà pronunciato al
termine della dura «giornata di lavoro».
Le
parole dell'Apostolo non sono un invito a ignorare il giudizio che
una comunità
pronuncia
su chi svolge un ministero. Ma non va dimenticato che, solo alla
fine, quando
"Egli
metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni
dei cuori; allora ciascuno riceverà da Dio la lode”.
Dal Vangelo secondo Matteo 6,24-34
Nessuno
può servire due padroni, perché o odierà l'uno e amerà l'altro,
oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete
servire Dio e la ricchezza.
Perciò io vi dico: non preoccupatevi
per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il
vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più
del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo:
non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il
Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi
di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la
propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate
come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io
vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come
uno di loro. Ora, se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è
e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente
di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: «Che cosa mangeremo?
Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?». Di tutte queste cose vanno
in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete
bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua
giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non
preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di
se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena.
Come
si può adattare questa pagina di Vangelo alla nostra vita? Non
bisogna che la leggiamo come un invito al disimpegno: Gesù infatti
non vuole che siamo poveri o diseredati, ma ci vuole liberi di
scegliere e consapevoli di che cosa è importante e cosa non lo è.
Le
immagini con cui è presentata la premura di Dio nei confronti delle
sue creature
sono
deliziose: "Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non
mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li
nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si
preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il
vestito, perché vi preoccupate?
Osservate
come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io
vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come
uno di loro"
Sembra
che Gesù voglia proporre una vita spensierata staccata dalla realtà.
Non
è così. Gesù non suggerisce il disimpegno, l'ozio, il disinteresse
o la rassegnazio
ne,
propone un rapporto nuovo con i beni: non l'accaparramento, ma la
condivisione fondata sulla fiducia nella provvidenza di Dio.
Gesù
non condanna la programmazione, la previdenza ma la preoccupazione
per il domani,l'ansia che fa perdere la gioia di vivere e porta
inevitabilmente ad accumulare e a trasformare in idoli i beni di
questo mondo.
Gesù
suggerisce il suo rimedio a questa malattia: sollevare lo sguardo
verso l'alto, verso il Padre che sta nei cieli. Questo non significa
rimanere con le mani in mano, ma affrontare la realtà con cuore
nuovo.
Alle
parole di Gesù fa eco l'apostolo Paolo nella Lettera agli ebrei: “La
vostra condotta sia senza avarizia, accontentatevi di quello che
avete, perché Dio
stesso ha detto: Non ti lascerò e non ti abbandonerò mai” (Eb
13,5).
Anche
di fronte alle difficoltà più gravi, Gesù invita a mantenere la
pace interiore perché la vita dell'uomo è nelle mani di Dio che non
abbandona i suoi figli, li accompagna in ogni istante, benedice i
loro sforzi e il loro impegno.
...Come
i gigli dei prati e gli uccelli del cielo...
Bisogna
abbandonare il passato alla misericordia di Dio,
il
presente alla nostra fedeltà
e
il futuro alla divina Provvidenza.
(San Francesco
di Sales)
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