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venerdì 24 aprile 2015

Essere pecore significa appartenere a Qualcuno che si prende cura di noi



Il Gesù che si è fatto uomo è il Pastore di tutti gli uomini.

Domenica quarta di pasqua Anno B 26 aprile 2015





Vangelo secondo Gv 10,11-18

In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore.
Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore.
Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».

Parola del Signore!

Enzo: Leggendo questo brano di Vangelo mi è venuta in mente la situazione della Chiesa del nostro tempo: è il popolo di Dio, il gregge di Gesù in cammino verso il Padre. Una chiesa in crisi, una chiesa impoverita per la frequenza di cristiani tiepidi, presa da assalto da tanti oppositori, spesso mal guidata dai suoi pastori. Sono, siamo cristiani-lupi, cristiani-mercenari che voltiamo le spalle alle prime difficoltà, ovvero che si lasciano abbindolare alla ricerca di beni terrestri trascurando la verde e fresca erba del Regno dei cieli?
Spesso dimentichiamo di avere il Pastore per eccellenza che vuole guidarci verso pascoli eterni, stiamo forse diventando come le altre pecore che non provengono dal recinto di Gesù? Spero di no!  Forse siamo troppo tolleranti verso noi stessi, accettando la nostra fragilità umana, riconosciuta dalla misericordia divina che ci scusa e paternamente ci perdona fino a settanta volte sette, sempre?

Gesù si presenta in questo brano come il Buon Pastore, si descrive dettagliatamente in modo che tutti possiamo capire. Non è un mercenario ma darebbe, e sappiamo che l’ha data, la sua vita per le sue pecore, noi. Per nessun motivo abbandona le sue pecore che conosce singolarmente e queste conoscono Lui. Meravigliosa la similitudine di questa conoscenza reciproca: “così come il Padre conosce me e io conosco il Padre”. Sappiamo che la “conoscenza” biblica implica la comunione intima tra due che si amano.

Gesù Pastore non stabilisce un semplice confronto, ma designa la sorgente dell’amore per le pecore. Egli partecipa ai suoi seguaci la comunione di vita che lo unisce strettamente al Padre. Tutti noi possiamo essere certi della comunione trinitaria nella quale siamo inseriti, ma dobbiamo prestare attenzione con l’aiuto dello Spirito a mantenerla viva.

L’apprezzamento del Padre, l’amore del Padre è dovuto, oltre alla figliolanza, al sacrificio di Gesù per noi, al dono della sua vita, vita donata ma poi ripresa con la sua risurrezione. La sua morte, accettata liberamente, rappresenta la manifestazione suprema dell’amore del Padre verso l’umanità intera.

Gesù sa di essere Pastore anche di quella parte del gregge che si trova fuori dal recinto ossia i pagani, e di coloro che volutamente non vogliono ascoltare la sua voce, il popolo ebreo: anche queste pecore ascolteranno la sua voce per unirsi al gregge che lo segue. E' una profezia? È bello pensarlo.

Questo ritorno non renderà vana la sua morte. La comunità cristiana sarà composta da giudei e gentili (pagani) da tutti coloro che ascolteranno la “voce” di Gesù, credendo in Lui. Sull’ascolto della parola di Gesù si fonda l’unità della Chiesa.

L’evangelista Giovanni ci ha presentato la figura del Cristo, l’inviato del Padre che agisce nella comunità attraverso lo Spirito per una missione universale.

“ Mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra”.
Qui si evidenzia la ragione intrinseca di questa missione universale: vi è un solo pastore. Il Logos che in Gesù si è fatto uomo è il Pastore di tutti gli uomini, perché tutti sono stati creati mediante quell’univo Verbo; nonostante tutte le loro dispersioni, a partire da Lui e in vista di Lui sono una cosa sola. Al di là di tutte le dispersioni, l’umanità può diventare una cosa sola a partire dal vero Pastore, dal Logos, che si è fatto uomo per offrire la sua vita, donando così “vita in abbondanza”. (Benedetto XVI in Gesù di Nazaret, dal battesimo alla trasfigurazione.)

Gesù è il Pastore di tutti gli uomini: tutti noi, cristiani discepoli di Gesù dobbiamo rivestirci dell’umanità di Gesù per giocare il ruolo di una chiesa aperta al confronto, che non si chiude in se stessa, ma apre il proprio recinto, che dona ciò che ha ricevuto indistintamente ad ogni uomo
.
Oggi purtroppo in tante regioni del mondo non è così.

Mariella: In questa domenica del Buon Pastore, il nostro primo pensiero deve trasformarsi in preghiera. E’ fondamentale, infatti, che il Signore assicuri buoni e santi Pastori, faccia nascere nel cuore dei giovani la vocazione a servirLo, anima e corpo, secondo le necessità della Chiesa. 

I Pastori hanno il compito di portare al mondo la forza della sua Parola e la potenza trasformante del suo Amore, che con l’aiuto dello Spirito Santo, devono orientare ogni vita verso la salvezza.  Pertanto ogni vocazione è una singolare esperienza d’amore, che attinge le sue radici nell’amore del Padre, che nulla trattiene per sé, ma tutto dona al Figlio, che a sua volta tutto riversa sul mondo, facendo dell’amore per il mondo la via per rispondere all’amore ricevuto dal Padre.

Il Buon Pastore non cerca nessun vantaggio per sé, agisce nel più puro disinteresse, ama le sue pecore fino al punto di dare la sua vita perché esse vivano, Egli tiene unito il gregge perché nono si disperda e nessuna pecora sia esposta a pericoli. 

Di tutt’altra logica è il mercenario, a lui non interessa il destino delle pecore, egli pensa solo a sé stesso. "Vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde".  Il "Buon Pastore" non ha come suo scopo quello di competere con altri pastori, il suo unico interesse sono le pecore, ogni pecora, suo unico interesse è entrare in relazione con ognuna di esse, Egli conosce loro, una ad una e loro conoscono Lui.

Gesù è il centro della circolazione di amore che dal Padre è donata al Figlio e da Lui è comunicata a chi, credendo, si lascia attirare dall'Amore.  Questo cerchio d'Amore non ha confini, deve allargarsi sempre di più: "Io ho altre pecore...anche quelle io devo guidare..." Lo sguardo di Gesù è rivolto a tutti i figli di Dio, senza confini, senza pregiudizi, senza limiti, perché tutti sono alla ricerca del vero senso della vita e tutti hanno diritto alla salvezza che solo Lui può donare. 

Il significato del termine pecora é attribuito ad ogni credente.  Essere “pecora” non significa certo diventare un automa, un essere privo di libertà e di dignità ma indica piuttosto la mansuetudine quale virtù necessaria per seguire il Pastore. Difatti, per entrare nel recinto sicuro, non basta solo confessarsi cristiani, occorre perseverare nel cammino d’amore tracciato da Cristo e tenersi lontano dal "mercenario".  In Gesù, nel Suo amore, saremo capaci di vivere in ascolto dei fratelli, potremo essere sollievo per i sofferenti, appoggio per gli esclusi.

Essere pecore significa appartenere a Qualcuno che si prende cura di noi, ci chiama per nome, non ci abbandona, non ci vende, non ci sfrutta, ma ci custodisce, ci protegge, ci difende, ci guida. Nulla può e deve farci paura, perché Lui è con noi sempre. 
Possiamo chiedere di più?

2 commenti:

  1. Commento di Padre Ermes Ronchi, in A SUA IMMAGINE DEL 25 APRILE 2015

    “Io sono il Pastore buono” è il titolo più disarmato e disarmante che Gesù abbia dato a se stesso. Eppure que¬sta immagine non ha nulla di debole o remissivo: è il pastore forte che si erge contro i lupi, che ha il coraggio di non fuggire; il pastore bello nel suo impeto generoso; il pastore vero che si frappone fra la vita e la morte.

    Il buon pastore, che porta gli agnel¬lini sul petto e conduce pian piano le pecore madri, evoca anche un senso di tenerezza, ma è quella che Papa Francesco chiama la “combattiva tenerezza” (Evangelii Gaudium, 88). Che cosa ha rivelato Gesù ai piccoli? Non una dottrina, ma il racconto del¬la tenerezza ostinata e mai arresa di Dio.

    Nel fazzoletto di terra che abi¬tiamo, anche noi siamo chiamati a di¬ventare il racconto della tenerezza di Dio. Della sua combattiva tenerezza. Il gesto che identifica il pastore è ri¬badito per cinque volte, nel Vangelo di oggi, con queste parole: “Io offro la vita”. Qui affiora il filo d’oro che lega insieme tutta intera l’opera di Dio: il suo lavoro è da sempre e per sempre offrire vita.

    Che non è innanzitutto morire sulla croce, perché se il Pastore muore le pecore sono abbandonate e il lupo rapisce, uccide, vince.
    Dare la vita è l’opera generativa di Dio, un Dio inteso al modo delle ma¬dri; nel senso della vite che dà linfa ai tralci; del seno di donna che offre vita al piccolo; dell’acqua che dà vita alla steppa arida. Io offro la mia vita significa: Vi offro una energia di na¬scita dall’alto; offro germi di divinità, perché anche voi siate simili a me (così la seconda lettura).
    Solo con un supplemento di vita, la sua, potremo battere coloro che amano la morte, i lupi di oggi.

    Perché anche noi, discepoli che vo¬gliono come lui sperare ed edificare, dare vita e liberare, siamo chiamati ad assumere il ruolo di “pastore buo¬no”, cioè forte e bello, combattivo e tenero, del gregge che ci è consegna¬to: la famiglia, gli amici, quanti conta¬no su di noi e si fidano.

    Dare la vita’ significa trasmettere a chi ti è vicino le cose che ti fanno vi¬vere, che fanno lieta, generosa e for¬te la tua vita, bella la tua fede, conta¬giare con i motivi della tua gioia.

    Tu sei il nostro Pastore buono e bello. E tu sai che quando diciamo a qual¬cuno “tu sei bello” è come dirgli “io ti amo”.

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  2. Enzo Vacca in AMANTI DELLA PAROLA

    Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me!
    L'unica cosa certa di questo passo è che Gesù conosce ognuno di noi singolarmente nel più profondo del nostro intimo, ma il difficile inizia quando leggiamo la seconda parte del passo,cioè:"le mie pecore conoscono me".Chi di noi potrà dire di conoscere Gesù?Il conoscerlo non deriva da un processo intellettuale ma la sua conoscenza passa attraverso un'esperienza fatta quotidianamente dove Lui è presenza viva dentro di noi!Se gli altri vedono questa presenza in noi allora possiamo affermare di essere una pecorella che conosce il suo Pastore!Guai nel pensare che basti la messa o il pregare o ancora una conoscenza delle scritture per credere di conoscere Gesù!Questi strumenti diventano fonte di bigottismo se poi le scelte nella nostra vita non rispecchiano la volontà di Dio!Questo è il mio più grande punto interrogativo di oggi!

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